Il nuovo album dei canadesi Timber Timbre era partito per essere – almeno nelle intenzioni – un album divertente, sul quale poter addirittura ballare, ma è finito per trasformarsi in un lavoro che parla soprattutto dell’attuale condizione politica e sociale dell’ultimo anno, con il risultato che di divertente e ballabile in questo nuovo album non c’è proprio niente. Non è sicuramente un fattore negativo, visto che la band di Taylor Kirk non si è mai fatta notare per essere particolarmente scanzonata.

In Sincerely, Future Pollution il folk gotico lascia spazio a un sound più elettronico, fatto di synth, chitarre elettriche e atmosfere sinistre che non sfigurerebbero come colonna sonora di un film di David Lynch o John Carpenter: è il suono della rassegnazione e della desolazione più totale. Il primo singolo, Sewer Blues, (letteralmente il blues della fogna) era una chiara indicazione della strada intrapresa, sia dal punto di vista strettamente musicale che dei contenuti (Now I come before you/Moving through this tomb of vapor and perfume and fog-filled rooms/Silent compass, anger at dawn/Locked down in the harness, drawn away from the low), tra sintetizzatori e chitarre elettroniche su di un tempo scandito in modo quasi marziale dalla batteria (I’ll go away back to you/I’ll go away back through your love), suoni e parole che provengono direttamente dalle viscere di una metropoli.

L’album si apre con Velvet Gloves and Spit, un brano dark romantico che parla di una relazione destinata a finire male già in partenza (The haunted hotel room, the two-bit manchild/I could not simply fall asleep next to you every night/Our castle in the sand, built too high too soon/And under waving palms and waving sails and waves/Goodbye), c’è anche spazio per un inaspettato quanto riuscito e piacevole pezzo electro-funk (Grifting) a cui segue una strumentale (Skin Tone) che suona come se fosse stata composta in un bosco sotto l’effetto dell’lsd durante un ascolto massiccio dei Funkadelic, oltre alla bossa nova a sfondo sociale Western Questions (Western questions, villages moving, the visitor sailing in/Drifters, grifters, spanning sifters looking for a flash in the pan/International witness protection through mass migration/The imminent surrender of land….I’m the hero of the human highway/I’m the savior of the atmosphere/Overdue by assassination, promoting racial vaccination and fear).

Dal punto di vista musicale il taglio netto con il passato è evidente, la componente blues-folk è stata del tutto accantonata in favore di un suono più freddo e metallico, i sintetizzatori hanno sostituito le chitarre acustiche contribuendo a creare atmosfere ancora più desolanti, come in Moment, brano di una tristezza indescrivibile (The hopes, the remote chance of your flesh and laughter/And nothing much else occurs to me before or after/Perversion of plans, a gutter lies so long and friendless/I shed the clutter and go, beginnings of ends feels endless) con un finale acido tra chitarre elettriche distorte.

La traccia che da il titolo all’album è un blues metropolitano dalle tinte elettroniche industriali, composto per metà da una strumentale che lascia spazio solo nel finale a un breve testo che sembra descrivere la fine del mondo (Smoke rainbow, a halo out, a UFO light/A high glam and a lazy song of Sarah’s smile/A custodian in love, the blue steel power and the tower of solution/Signed and sealed, “Sincerely, the pollution.).
I fumi tossici delle fogne devono averli intossicati a tal punto da trasformarli in un mix tra i Daft Punk e i Black Mother Super Rainbow in Bleu Nuit , la malinconica Floathing Cathedral conclude il disco tra le allucinazioni più totali (I entered a plaza/I circled the dawn/A floating cathedral/This does not look like home/Or is this Ravenna?/Is this Venice or Rome?) e trasmette le stesse sensazioni di una crociera a Mururoa durante i primi esperimenti nucleari.

Taylor Kirk è passato dal comporre canzoni adatte ad essere suonate in fumosi bar davanti a reietti della società a incidere la colonna sonora perfetta per uno scenario apocalittico, un album che più che in Francia sembra essere stato registrato tra un bunker atomico e la laguna tossica di Salton Sea, facendo sembrare in confronto la sua intera discografia precedente un greatest hits dei Beach Boys. Rendere accettabile se non addirittura piacevole la desolazione e la sconfitta è una qualità rara al giorno d’oggi, e i Timber Timbre dimostrano ancora una volta di essere maestri in questo. Sincerely, Future Pollution pur essendo radicalmente diverso dai lavori precedenti si può annoverare già tra i loro album più riusciti, se non addirittura il migliore fino a questo momento.

Tracce consigliate: Floating Cathedral, Velvet Glove & Spit