Tim Darcy è il frontman degli Ought. Descrizione limitante, certo, ma necessaria perché Saturday Night, il suo primo lavoro solista, è imprescindibile dalla produzione degli Ought. Uso “imprescindibile” in un senso quasi contraddittorio, per demarcarne le differenze piuttosto che i punti di contatto. Il musicista americano e canadese di adozione è più che un semplice frontman: già scrittore e poeta, nel 2016 ha anche prestato la voce ad un progetto sperimentale in spoken word con AJ Cornell, Too Significant to Ignore. Non è quindi un caso che Tim sappia scrivere proprio bene, qualità che avevamo già apprezzato nei versi taglienti che accompagnano il post-punk degli Ought, i cui ritmi serrati davano alla scrittura un carattere postmoderno, sia nei temi che nella ripetizione dei versi (Beautiful Blue Sky ce l’avete presente, sì?).

Saturday Night nasce nello stesso periodo di Sun Coming Down, periodo in cui Darcy passa le notti in uno studio libero e si ritrova a rielaborare vecchie e nuove idee; lontane dall’urgenza post-punk, le atmosfere si distendono e l’album si fa man mano più personale. Saturday Night, però, è un lavoro ingannevole: il singolo e brano di apertura Tall Glass of Water ci aveva fatto pensare ad un rock ‘n’ roll sghembo che ammiccava a Lou Reed – e parte dell’album segue questa scia, basti pensare a You Felt Comfort, l’episodio più animato del lotto; la verità è che quel ‘personale’ che si dispiega con l’album lo trasforma in un’opera che diventa gradualmente più intima quanto sperimentale. Quello che al primo ascolto sembrava innocuo diventa disorientante (“if at the end of the river there is more river, would you dare to swim again?”) e quella che sembrava una serenata si trasforma nella melancolia di quel che non è destinato a durare (Still Waking Up).

Ad introdurre il lato B del disco c’è la chitarra immersiva ed onirica di First Final Days, il primo dei due momenti strumentali del disco (il secondo, più distorto, è Beyond Me). Tra i momenti più alti c’è la title track Saturday Night: lo spoken word di Darcy emerge da un tappeto di suoni distorti e bowed guitar memori di Too Significant to Ignore, ma anche di molta ambient e di Scott Walker. La struttura del lavoro ricorda in parte quello della collega di etichetta Angel Olsen, rievocata in particolare nel minimalismo e nella delicatezza di Found My Limit; qui, però, più che una netta divisione c’è una rivelazione graduale, che Tim Darcy rende a tratti disturbante e che, a sua volta, rende l’ascoltatore un testimone quasi invadente del tutto.

Saturday Night è un album che si lascia scoprire lentamente, ma mai comprendere del tutto: Tim Darcy si apre, ma ci lascia sul ciglio della porta, spettatori esterni, inquieti. Diversamente dal collettivismo postmoderno degli Ought, col simil-flusso di coscienza di Saturday Night Darcy non punta il dito che a se stesso, parlando a se stesso senza però indulgere nell’autocelebrazione, e allo stesso tempo senza mai smettere di guardarsi attorno.

Tracce consigliate: Saturday Night, Tall Glass of Water