Eccoci qui. Dopo qualche anno di silenzio, gli Shins son tornati a proporci la loro musica con questo loro quinto album, intitolato Port of Morrow, co-prodotto dalla Columbia Records e dalla Aural Apothecary, etichetta appartenente proprio al frontman del gruppo, James Mercer.

Quest’album, mettiamolo subito in chiaro, è stronzo. É subdolo, ingannatore e falso. Al primo ascolto è lì ad ammaliarti, a dirti che va tutto bene e che puoi star tranquillo, le cose andranno anche meglio. Parte con The rifle’s spiral e ti illude. È come il ragazzo che al primo appuntamento ti conquista, per poi sparire. Ecco, sì, Port of Morrow è esattamente così.
Proseguendo con l’ascolto, il disco smette di essere stronzo e diventa assolutamente scarso, uguale a tanti altri, con poca qualità e nessun punto degno di nota o lode. Sì, lo so, mi son stancato anche io di usare espressioni come “banale”, “uguale a tanti altri”, “nulla di nuovo” per descrivere un disco, ma davvero è una cosa forzata, inevitabile e poco piacevole innanzitutto per il sottoscritto.
Qui davvero, verso la settima-ottava traccia, ti ritrovi a pensare che magari ti hanno rifilato un pacco e t’hanno piazzato tra le mani, invece di Port of Morrow, il greatest hits di Miguel Bosè o dei Lighthouse Family. Non c’è proprio trippa per gatti. No, forse nemmeno i Lighthouse, più che altro ad un certo punto pensi di aver messo la puntina su un vinile intitolato tipo “1990’s Most romantic movies’ soundtracks”, ecco, qualche stronzata del genere. E allora capisci, appunto, che niente, non ce n’è.
Ragazzi, una volta siete apparsi in un episodio di Una mamma per amica. Ecco, non dico di darvi esclusivamente a questo campo, ma boh, prendetelo in considerazione.