Guardare la press photo che accompagna l’uscita di questo album, che ritrae James Mercer, frontman e cuore storico degli Shins, seduto al tavolo di un bar, solo, con l’aria spaesata e l’aspetto invecchiato, non è il miglior modo di predisporre il proprio animo all’ascolto di questo nuovo lavoro. Ti mette di fronte all’evidenza che di tempo, dal primo album datato 2001, ne è passato parecchio, anche prendendo come punto di riferimento il loro momento di massima notorietà, a metà anni zero, quando il loro pop folk centrava abbastanza in pieno lo zeitgeist del momento, fatto di musica perfetta per fare da colonna sonora a film presentati al Sundance Festival.

Ecco, prima di far partire Heartworms ho fissato inquieto questa foto per qualche minuto, interrogandomi. Mi aspettano 11 canzoni dai toni cupi e lamentosi scritte da un uomo di mezza età che vuole raccontarci i segni indelebili che la vita gli ha lasciato addosso? Mi aspetta un album con cui gli Shins vogliono tragicamente accreditarsi a un pubblico adult-soft-rock? Mi aspettano attimi di spleen esistenziale?

La risposta è contenuta nei primi 10 secondi di Name For You. Una chitarra effettata in levare, che accompagna un ritornello disseminato di coretti, per uno dei pezzi più felici di tutta la loro discografia.

Dopo aver capito che il morale è salvo, l’ascolto riserva altre sorprese, compresa quella che è la novità più di rilievo dell’album: la presenza in tante canzoni di synth e di innesti elettronici vari, già accennati in Port of Morrow, ma che in questo lavoro costituiscono l’elemento più riconoscibile di molti pezzi, e quello che li rende memorabili. Painting a Hole, ad esempio, sembra una canzone dei Django Django, e la successiva Cherry Hearts si avvicina (davvero) ai momenti più pop e meno sperimentali degli Animal Collective.

Non sono situazioni isolate: lo stesso si ripete in Fantasy Island e in Dead Alive, dove, in entrambi i casi, il cantato che più Shins non si può è accompagnato da una più inedita base a tinte psichedeliche. E allo stesso tempo non tutto l’album è così: c’è spazio per Mildenhall, una rilassante e classicissima canzone country-folk, per ballate molto 90s, come The Fear, e anche per una specie di tributo ai Weezer, in Half a Million, che è cosa sempre buona e giusta.

Insomma, di fronte a un album vario, vivace, evidente frutto di una band che ha ancora qualcosa da dire, ogni dubbio iniziale è fugato. Ogni dubbio tranne uno: James, ma sei sicuro che non sia il caso di cambiare fotografo?

Tracce consigliate: Name For You, Cherry Hearts