Citizen-Zombie

Eppur si muove. A quasi trentacinque anni dall’ultimo lavoro, arriva l’attesissimo Citizen Zombie, che segna il definitivo ritorno alle scene per il Pop Group, dopo la reunion del 2010 e la pubblicazione di una raccoltà di rarità e b-side.
Gruppo-ossimoro, maestri del funk e del post punk, a dispetto del nome che potrebbe ingannare i più, Mark Stewart & soci hanno segnato la scena musicale inglese a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Y, il loro album d’esordio, è stata una delle cose più forti, feroci e geniali di quel periodo:brutalità e scompostezza accompagnati da ritmi tribali e testi rivoluzionari che inneggiavano contro il capitalismo, pregni di insofferenza politica. È questa la cifra stilistica del Pop Group, che ha permesso alla band di Bristol di sfornare capolavori come She’s Beyond Good And Evil e We Are Time e di influenzare diverse generazioni di artisti, tra i quali basti menzionare il solo Nick Cave.

Dunque, cosa aspettarci da questa reunion? Le premesse non sono delle migliori, a cominciare dalla produzione, affidata al pluritelegattato (cit.) Paul Epworth, ultimamente più abituato a lavorare con sonorità mainstream e patinate, come quelle di U2 e Coldplay; anche la cover non mi sembra all’altezza delle precedenti.
Al primo ascolto, appare evidente la voglia di sperimentare di Stewart, sconfinando in generi come la dub, con risultati alterni. Citizen Zombie e Nations, sono probabilmente i brani che risentono maggiormente delle nuove influenze della band, grazie all’apporto di synth, feedback e drum machine. S.O.P.H.I.A. (una She’s Beyond Good and Evil in diminutio), e Box 9, riprendono il discorso da dov’era stato interrotto trentacinque anni orsono, mentre l’elettronica e la house la fanno da padrona in Age of Miracles.
Forse è proprio questa mancanza di un filo conduttore a far storcere il naso. Nel bivio tra reiterarsi e smarcarsi da sé, i Pop Group hanno scelto una via di mezzo; pur mantenendo quasi inalterata la formula, sia ne testi che nella sostanza musicale, Citizen Zombie risulta un disco più di testa che di pancia, opera seconda(o meglio, terza) che nulla aggiunge alla carriera della band, ma che funge da opportunità per tutte quelle generazioni che, per motivi anagrafici o per scarsa capacità di intelligere all’epoca, non hanno potuto assistere a un loro live .

Tracce consigliate: Age of Miracles.