Post-post-hardcore. Uno sguardo al futuro. Se il pop tira troppo la corda si torna alle chitarrone pesanti, al sudore alle urla: è il cerchio della vita, va sempre così. A fare da faro verso un domani tremendamente prossimo ci sono i The Men che con il loro terzo disco (secondo su Sacred Bones) stendono un tappeto rosso per molte band a venire.

Open Your Heart è un esplosione di chitarre impazzite e voci urlanti, ma in un groviglio così assordante riescono a emergere melodie sempre azzeccatissime, impossibili da non amare. Turn It Around, Animal e la title-track sono pezzoni da urlare pogando come dei bastardi. Country Song è uno strumentale country pieno di flanger che dura quasi sei minuti e non sembra durarne neanche uno da quanto ti prende. Anche i più scettici crolleranno sotto la bellezza di Please Don’t Go Away, la parentesi di dolcezza al centro dell’album, roba da scioglierti il cuore con poche parole, qualche falsetto, sei corde e tanta distorsione. Con Candy si va su terreni più soft, chitarre acustiche, amore bifolco e luna piena. Oscillation e Presence con i loro sette minuti portano in territori lisergici in cui smarrirsi e facile. Certo ci sono i momenti deboli (Cube è un palese riempitivo), ma il resto del disco funge da traino ed Ex-Dreams è una chiusura di album così gagliarda da farlo venire duro.

Quest’album non è esattamente nelle mie corde, ma era impossibile non recensirlo: nessuno lo aveva ancora fatto su queste pagine e per me era un crimine, perché un disco del genere ha fatto sognare anche un dream popper come me.