individ

Etichetta: Polyvinyl
Anno: 2015

Simile a:
Grizzly Bear – Shields
The Antlers – Hospice
The Walkmen – Bows + Arrows

Mi sono sempre chiesto se la passione verso un proprio prodotto, costruito, confezionato e venduto nel tempo rimanga intatta o vacilli lungo l’inesauribile incedere del tempo stesso. Mi spiego meglio. Il signor Coca-Cola sarà mai arrivato a dire “Ragazzi, bevetevela voi questa bevanda. Mi ha fatto fare un botto di soldi ma mi ha fracassato le palle”?. Sinceramente protenderei a negare qualsiasi giramento di palle del suddetto Signor Coca-Cola. E questa conclusione mi è stata suggerita ascoltando il nuovo album della band californiana The Dodos, un duo di San Francisco attivo dall’ormai lontano 2006, quando uscì il loro primo EP Dodo Bird e successivamente il primo lavoro lungo Beware of the Maniacs. Da quel momento in poi i due hanno scritto e musicato altri 5 album, compreso il più recente e di nuova uscita Individ di cui ci occupiamo oggi.

In effetti il prodotto presentato negli anni da Meric Long e Logan Kroeber non è variato mai di molto, fedeli ad un folk rock, psichedelico e sghembo su cui i due sono riusciti a inserire un marchio di stampa ben riconoscibile fatto di continui dialoghi tra la sola chitarra (in chiave prima acustica ora maggiormente elettrica) e la batteria.
Passione dicevamo: ascoltando Individ si rimane colpiti, o quantomeno affascinati dall’impeto, dal trasporto, dalla dedizione con il quale la coppia continua a lanciare il suo prodotto e da una ricerca e un’attenzione alla produzione del suono maggiori rispetto al passato.

Eppure almeno a parole il duo statunitense si vorrebbe allontanare dal “brand” che lo ha contraddistinto in questi anni. Le strofe dell’iniziale Precipitation ci dicono che “until now there was a reason, let go of it, it’s not relevant”, quasi come a volersi distaccare da tutto quello che è stato fatto fino a quel momento. Ecco se l’intento era questo la missione è, almeno in parte, fallita. Le cose migliori dell’album si ascoltano in pezzi in puro e piacevolissimo stile Dodos, come ad esempio la triade che comprende il primo singolo Competition, la successiva Darkness (che è sicuramente la migliore traccia del lotto) e Goodbyes and Endings. Il resto del disco vive di alti e bassi. Il cantante e chitarrista Long sembra ormai prediligere la versione elettrica della sua chitarra già da qualche disco, tendendo però a portare le canzoni verso un calderone un po’ troppo denso di contenuti a discapito dell’effettiva genuinità che la band mostrava nei primi anni di carriera. Tra questi picchi e repentine discese spicca la conclusiva e ben riuscita Pattern/Shadow, canzone che vede il contributo vocale di Brigid Dawson voce dei Thee Oh Sees e che riprende quel filone rock neo psichedelico a cui si accennava sopra.

Qui la voglia di fare e di andare avanti riprende il sopravvento e in definitiva rende Individ un disco dall’ascolto piacevole, un po’ melenso in alcuni passaggi ma da cui si respira una voglia e una smania di andare avanti a tratti encomiabile e che per una volta nella mia vita mi rende sicuro di qualcosa: ovvero che il tragitto dei Dodos è un po’ come quello di una migrazione di volatili. C’è stato, c’è e ci sarà ma non puoi prevederlo con esattezza ogni anno che passa. Siamo curiosi di vedere cosa ci regaleranno le prossime puntate.

Traccia consigliata: Darkness.