Il settimo album degli Afghan Whigs, In Spades, parla di quanto rapidamente la vita e la memoria possono sfocare insieme. Si apre con Greg Dulli che tra violini, mellotron, organo e la chitarra di Dave Rosser ricorda la sua infanzia; Birdland (nome di un quartiere di Ross, in Ohio, dove è andato a scuola da ragazzo) è forse il brano più insolito con cui abbia iniziato un disco la band originaria di Cincinnati, che ricorda forse più quanto fatto con i Twilight Singers rispetto ai precedenti lavori con i ‘Whigs, cosa per altro abbastanza normale visto che della formazione originale l’unico rimasto è il bassista John Curley. Le opere di Dulli hanno sempre dato l’impressione di sembrare più film che dischi, ogni canzone potrebbe essere una potenziale sceneggiatura di un noir in cui si intrecciano erotismo, amore, crimini e scelte di vita sbagliate, e in pochi come lui sono riusciti a rendere meravigliosamente belli gli aspetti più decadenti dell’uomo in tutte le sue forme, la sconfitta e la delusione suonano meno amare filtrate dal suo inconfondibile timbro vocale. Registrato tra New Orleans, Los Angeles, Memphis e il Joshua Tree, è un lavoro in cui soul, r&b, funk e rock si fondono ancora una volta in maniera sublime, Arabian Heights inizia con la batteria muscolare di Patrick Keeler che è un treno su cui le chitarre di Dulli Rosser e Skibick tessono trame stilistiche che avvolgono completamente il cantato soulful  intriso di erotismo e introspezione di uno dei frontman più stilosi di tutti i tempi (Run/Seek the fear/All come down/Disappear… Breathe/My desire/Make no sound/And we’ll escape in each other…But don’t you come when the come for me/Cause they’ll sit you down/And wanna know what you know….Let the night decide/If you remain in this world…Run/Taste your fear/They rely/On volunteers), alla faccia di chi dice che è un disco dove sono meno presenti le chitarre, in questo pezzo ci sono addirittura tre assoli da ogni componente ciascuno).

Demon In Profile, primo singolo estratto, racchiude in poco più di tre minuti tutto ciò che ha reso Dulli unico nel corso degli ultimi 30 anni, iniziando con l’inconfondibile pianoforte seguito a ruota da un basso che ne evidenzia gli accenti (Criminal/I’d bet you’re bad/See the knife in the water/Send you back to bed) per poi arrivare progressivamente ad esplodere tra chitarre e fiati sorretti sempre dall’incalzante batteria di Keeler che con un colpo di coda da mestierante cambia i tempi sul finale (You say you’re ready/If I’m an animal/Let’s get a room real soon/
We’ll call the supernatural…All over your body/Now say it back to me/Some call it chemical/I call it bittersweet). Toy Automatic è un altro classico brano che non può mancare in un disco che vede la firma di Dulli, un wall of sound in un crescendo continuo di emozioni tra orchestrazioni e arrangiamenti epici che prende il volo in un tripudio di fiati, un bellissimo viaggio tra cuore e memoria. Oriole, che prende il nome dalla strada dove abitavano alcuni suoi amici d’infanzia, è una delle due canzoni nata dopo alcuni sogni fatti in estate (l’altra è la precedente Toy Automatic), ed essenzialmente mette in relazione la persona che è adesso rispetto a quei tempi, in una sorta di percorso introspettivo dal sound nostalgico. Il drumming quadrato di Keeler in Copernicus si sposa perfettamente con i riff di chitarra quasi hard rock che si mischiano piacevolmente al suono soul della seconda parte del pezzo, anche in questo Dulli è un maestro nell’unire sonorità così diverse tra loro a tematiche apocalittiche (Listen in the distance/As the sky begins to fall/Raining down like crystalline/Apocalypse in thrall). Ad ogni lavoro che vede la firma dell’ormai cinquantaduenne di Hamilton (Ohio) non si può non notare come il suono sia differente e simile al tempo stesso da quanto fatto in passato, la capacità di evolversi senza stravolgere la propria identità, di non risultare mai scontati e banali anche nelle composizioni che vedono ormai impresso sopra il loro (o meglio, il suo) marchio di fabbrica.Dulli ha stile e carisma da vendere, come evidente anche in The Spell, dove assieme a tastiere e archi da sfoggio dell’ennesima prova vocale di ottimo livello, sorretta da un ritmo di batteria funk incalzante e da chitarre che fanno da contorno al lamento di un sax in conclusione (I wanna go deep down to where my soul has gone).

La componente soul-funk è presente anche nella successiva Light As A Feather, pezzo dal suono vintage che sembra provenire direttamente dagli anni ’70, a cui segue I Got Lost, ballad toccante scritta dopo aver scoperto della malattia
dell’amico e chitarrista Dave Rosser. Il finale, come ogni grande e memorabile film che si rispetti, non può che avere toni epici. Into The Floor (brano nato dal vivo in una jam su un riff di chitarra che faceva da ponte ad ogni concerto dell’ultimo tour a Miles Iz Dead) è la quintessenza degli Afghan Whigs e di Dulli stesso, tra Prince e Motown, ma con l’inconfondibile impronta white-soul che lo ha sempre reso autentico e mai una sbiadita imitazione dei grandi del passato, chi non ha mai ascoltato niente del suo immenso repertorio discografico potrebbe iniziare da questa canzone per innamorarsi perdutamente di lui e della sua musica (brano che entra di diritto tra i suoi migliori di sempre). Una prova di classe e stile fuori dal comune, in cui tira fuori cuore e anima come solo lui sa fare, ed è impossibile non emozionarsi di fronte ad opere del genere. In Spades è un lavoro coeso e composto come una storia dall’inizio alla fine, proprio come una sceneggiatura, dove si fondono sogni e realtà, la dimostrazione di quanto Greg Dulli sia ancora al top della forma, accompagnato da un gruppo di musicisti straordinari e affiatati tra di loro, tra i quali non va dimenticato il polistrumentista Rick Nelson (chitarra, piano, violino e violoncello).

Di musica così vera, sincera, composta e suonata con l’anima e in maniera così coinvolgente non ne avremo mai abbastanza, questo nuovo lavoro degli Afghan Whigs dimostra che con il passare degli anni Greg Dulli non ha perso un colpo, ma anzi è migliorato evolvendosi in un frontman spettacolare e irresistibile. E noi siamo qua a godercelo, fino al prossimo viaggio.

Tracce consigliate: Into The Floor, Demon In Profile, Arabian Heights