Sorrow gushed from their eyes and made their sad tears flow. While this way and that they flapped their hands for ease from the hot soil…and now from the burning snow.” Dante, Inferno, canto XVII

Su campionature di suoni acquatici ed un recitativo si apre questo Monkey Minds In The Devil’s Time di Steve Mason, scozzese di nascita, membro fondatore della The Beta Band. La citazione di Dante ci fa capire che l’intenzione di presentare al pubblico un lavoro impegnativo c’è tutta, come pure l’obbiettivo di far discutere e spingere alla riflessione.
Dante in apertura ci piace così tanto da riuscire a farci chiudere un occhio sul recitativo, che, alla faccia di tutti coloro che sentendo nominare la Commedia stanno pensando a Benigni, ricorda di più l’incipit di The Number Of The Beast degli Iron Maiden, ahinoi e ahiDante. Il titolo dell’album pure è tratto da un detto buddista, una perifrasi usata per indicare un atteggiamento distratto e menefreghista in brutti momenti. Benebene tanto fighe le citazioni, però,  Steve caro, cantaci qualcosa: sul prosieguo del recitativo iniziale si inseriscono sofficemente basso e batteria, che, crescendo con discrezione e delicatezza, introducono il cantato (quello di Mason, il solito), che ci guida attraverso un brano lento e delicato, arrangiato in modo da dare assoluto rilievo al testo. Dopo il sample di accordion (reciclato da precedenti sessioni) Flyover, arriva A Lot Of Love: un altro brano tranquillo, arrangiato discretamente, con  un testo riflessivo e polemico in primo piano. Riflessione sulle condizioni di vita contemporanee, sui nostri tempi e blablabla, che, a meno che non volesse essere il biglietto da visita per una brillante ma segreta candidatura di Mason al recente conclave, risulta pesante e banalotta. Sperando di non doverci sparare tutto il testo della Rerum Novarum in un altro bel recitativo prima di poter arrivare al prossimo pezzo, proseguiamo: il recitativo in effetti c’è, e potrebbe essere tanto la già citata bolla papale quanto un treno di bestemmie lungo quanto il fiume Mississipirississipirississipirì, dato che è in portoghese. Benebene tanto fighe le citazioni, però,  Steve caro, cantaci qualcosa: sul prosieguo del recitativo iniziale si inseriscono sofficemente basso e batteria, che, crescendo con discrezione e delicatezza, introducono il cantato (quello di Mason, il solito), che ci guida attraverso un brano lento e delicato, arrangiato in modo da dare assoluto rilievo al testo. Dopo il sample di accordion (reciclato da precedenti sessioni) Flyover, arriva A Lot Of Love: un altro brano tranquillo, arrangiato discretamente, con  un testo riflessivo e polemico in primo piano. Riflessione sulle condizioni di vita contemporanee, sui nostri tempi e blablabla, che, a meno che non volesse essere il biglietto da visita per una brillante ma segreta candidatura di Mason al recente conclave, risulta pesante e banalotta. Sperando di non doverci sparare tutto il testo della Rerum Novarum in un altro bel recitativo prima di poter arrivare al prossimo pezzo, proseguiamo: il recitativo in effetti c’è, e potrebbe essere tanto la già citata bolla papale quanto un treno di bestemmie lungo quanto il fiume Mississipirississipirississipirì, dato che è in portoghese.

Benebene tanto fighe le citazioni, però,  Steve caro, cantaci qualcosa: sul prosieguo del recitativo iniziale si inseriscono sofficemente basso e batteria, che, crescendo con discrezione e delicatezza, introducono il cantato (quello di Mason, il solito), che ci guida attraverso un brano lento e delicato, arrangiato in modo da dare assoluto rilievo al testo. Dopo il sample di accordion (reciclato da precedenti sessioni) Flyover, arriva A Lot Of Love: un altro brano tranquillo, arrangiato discretamente, con  un testo riflessivo e polemico in primo piano. Riflessione sulle condizioni di vita contemporanee, sui nostri tempi e blablabla, che, a meno che non volesse essere il biglietto da visita per una brillante ma segreta candidatura di Mason al recente conclave, risulta pesante e banalotta. Sperando di non doverci sparare tutto il testo della Rerum Novarum in un altro bel recitativo prima di poter arrivare al prossimo pezzo, proseguiamo: il recitativo in effetti c’è, e potrebbe essere tanto la già citata bolla papale quanto un treno di bestemmie lungo quanto il fiume Mississipirississipirississipirì, dato che è in portoghese.
Poi arriva Lonely, altro pezzo poco significativo, che riesce a destare la nostra attenzione solo perché portatore di un mood assolutamente alieno a quanto sentito fin ora. Il testo, sempre descrittivo e polemico, lascia forse un (consapevole?) suggerimento sul perché??? del repentino cambio di atmosfera, che è probabilmente da attribuire all’identificarazione Mason-Dante svelataci dall’incipit: questa scelta è probabilmente un’ improbabile ripresa della commistione di registri utilizzata nella Commedia, e viene portata avanti per tutto il disco, che alterna brani assolutamente slow-tempo e soffusi ad altri molto più leggeri e aperti. 

Caro Steve, gran bel casino. Innanzitutto Dante sapeva scrivere tanto ma tanto meglio; gli spunti erano più originali (oltre ad essere 700 anni fa). Poi la musica non c’era. Poi perché proprio Dante? Con tematiche e spunti del genere, lungi dall’essere originali, perché non Jim Morrison? Non ti piace vincere facile?

L’album prosegue liscio per un’altra manciata di canzoni, e, arrivati a More Money e More Fire, Mason ci stupisce ancora, con tanta prepotenza da risultare quasi simpatico, e farsi perdonare la sopita arroganza mostrata fin qui: hip-hop. Non contaminazioni, spunti. Proprio due pezzi hip-hop. Base regolare, piano e fiati molto chill out; due pezzi nel complesso molto più interessanti dei precedenti, ma anche assolutamente fuori contesto, il cui inserimento in questo (troppo) ambizioso concept album è stato così assurdo da far ammutolire in partenza ogni possibile critica. Un po’ confusi arriviamo a Operation Mason, un noiosetto delirio rumorista-pettinato. I due brani seguenti Fight Them Back e Towers Of Power sono i pezzi più gradevoli (episodio hip-hop a parte) di questo Monkey Minds In The Devil’s Time, ben arrangianti e con una maggiore attenzione per le dinamiche. Poi Come To Me, una closing track dai toni rilassati e speranzosi, che, finalmente, lascia intuire un Mason dalla ritrovata serenità.

Nel complesso questo Monkey Minds In The Devil’s Time risulta fuori posto, ascoltabile ma godibile solo se accompagnato da un grande interesse per le opinioni del buon Steve sulle tematiche trattate. Un album ambizioso, che risulta in alcuni passaggi decisamente sopra le righe, e, purtroppo, sbilanciato, non essendo le composizione nella maggior parte dei casi sufficienti a sostenere le liriche. Senza infamia né lode, e con un grande stai tranquillo che va tutto bene a Manson, con la speranza che possa funzionare, questo lavoro arranca per la sufficienza. Ed è un peccato, perché, a saperli cercare, gli spunti interessanti non mancano.

 Recommended track: Fight Them Back

5.9/10