Primordiale e postmoderno: questa l’antitesi musicale e concettuale che salta all’occhio – o all’orecchio – già dal primo ascolto di Fertile. Il nuovo, secondo album degli Stearica è già in partenza un disco cosmopolita, e questo non solo perché il trio – nato a Torino – è riuscito a farsi produrre da una casa discografica britannica (Monotreme) e ad avvalersi di invidiabili collaborazioni internazionali, ma anche e soprattutto perché dietro ad ogni titolo in Fertile c’è una storia, una dai richiami mediorientali, ma una radicata in un contesto musicale più che occidentale.

Antitetico – sì. Contraddittorio no, però. Il dono di Fertile sta nella produzione impeccabile, nella trascrizione fonetica del caos e nei ritmi serrati e incalzanti che gli Stearica rendono con coerenza impressionante, e che rendono gli Stearica una band che, sebbene solo al secondo album, è dotata di un sound caratterizzante e inconfondibile: sempre fedeli a sé stessi, nella buona e nella cattiva sorte. La buona sorte è quella riservata al primo singolo estratto dall’album e traccia d’apertura Delta, che è un’esplosione di quei chitarroni distorti proprio come piacciono a noi, e con la batteria di Davide Compagnoni a dominare la scena in modo prepotente; e buona sorte è anche il resto dell’album, in realtà, che è pervaso di tappeti disturbanti, da quei suoni su un confine labile tra i rumori di una foresta e le macchine del nostro quotidiano. Il tutto confezionato in un noise/progressive acido e graffiante, che strizza l’occhio allo stoner di qua e al post-rock di là, ma anche a momenti “jazzofili” (in Amreeka, gli Stearica si fanno accompagnare da – o meglio, accompagnano – il bassista jazz Scott McCloud) o più crudi (Nur ospita alla voce Ryan Patterson, frontman dei Coliseum, una band punk-rock). Così come nel brano d’apertura, anche sul finale gli Stearica si rendono degni di particolare nota: Shah Mat, coi suoi undici minuti, riprende l’elemento conturbante proprio del disco con l’aiuto dei fiati di Colin Stetson – polistrumentista canadese che ha anche collaborato con artisti del calibro di Arcade Fire e Bon Iver.

Prendendo ogni traccia di Fertile una per una, ogni tassello ed ogni accenno sono di una qualità e di una maestria innegabili, difficili da contestare sul piano compositivo: ogni pezzo è una storia, ed ogni storia rende gli Stearica quello che sono. Prendendo Fertile nel suo insieme, come un blocco unico firmato Stearica e ascoltandolo come il post-rock richiede di essere ascoltato, allora è lì che alcune delle argomentazioni sulla qualità del disco si ripiegano su sé stesse: la coerenza, la fedeltà e l’inconfondibilità restano sì in equilibrio, ma lo fanno troppo precariamente quando l’ascolto è di ben 55 minuti, e il rischio che corrono è quello di appesantire il lavoro con uno o due pezzi troppo fedeli – o quasi superflui.

Tracce consigliate: Delta, Shah Mat