È il primo giorno di lavoro dopo le vacanze estive: un vostro collega, che ricordavate calvo, si presenta in ufficio con una folta chioma. Fate finta di nulla, ma, in cuor vostro, trovate la faccenda un po’ ridicola. Dopo la chiusura natalizia, lo stesso collega, che era sempre stato scostante, vi saluta con un “bella, bro”, mentre finge di colpirvi con una combo di pugni. “Che buffone”, pensate. Difficilmente un repentino cambio di look o di personalità risulta credibile, soprattutto nelle persone che fanno parte del vostro quotidiano e che associate quindi a determinate scelte stilistiche e a precisi codici comportamentali. Annie Clarke è l’eccezione alla regola: la sua St. Vincent è, da sempre, camaleontica e imprevedibile; una sorta di versione contemporanea di David Bowie.

Ognuno dei 6 album pubblicati da Annie Clarke in poco meno di 15 anni di attività solista ha rappresentato un’evoluzione nel suono e nel look di St. Vincent: ogni cambiamento è stata una piccola rivoluzione sempre caratterizzata dalla coerenza con le produzioni precedenti e dalla credibilità con cui Annie ha indossato i panni di un nuovo personaggio. Dopo il latex, il futurismo e l’iperattività di Masseduction, con Daddy’s Home, St. Vincent fa due balzi indietro, esplorando la musica di fine anni ’60 e inizio anni ’70. L’ispirazione nasce da un evento importante: il ritorno in libertà del padre dopo 10 anni di prigionia. La scarcerazione è l’episodio che ha portato Annie a creare un album che reinterpretasse in chiave moderna la musica che suo padre le faceva ascoltare da bambina: Daddy’s Home non è però un semplice tuffo nostalgico nel passato, bensì un omaggio nei confronti del rock, del funk e del pop psichedelico degli anni ’70, che rappresentano i generi musicali con cui sperimentare per creare un disco che presenta un sound tipico di quegli anni, ma che rimane innegabilmente opera di St. Vincent.

La retro-mania non è cosa nuova e non lo è in modo particolare quella nei confronti degli anni ’70. Tuttavia, dalla moda alla musica, si è quasi sempre rispolverata la seconda metà della decade, quella indissolubilmente legata alla Disco Music, un genere ruffiano con cui colpire l’ampio pubblico. In Daddy’s Home, Annie Clarke e Jack Antonoff, già produttore di Masseduction, spaziano tra generi e ispirazioni diverse usando vecchie chitarre, sitar, mellotron, fiati e cori per offrire un’autentica esperienza pre-Disco: l’album non mostra un’unica faccia di quegli anni e St. Vincent non ricorda solo il primo Prince, James Brown e il Bowie di Young Americans, ma anche Lou Reed, i Pink Floyd e i Fleetwood Mac: ci sono il funk e groove di Pay Your Way In Pain e Down, la psichedelia di Down And Out Downtown, The Melting Of The Sun e The Laughing Man e infine c’è il soft rock di Somebody Like Me e …At The Holiday Party.

Daddy’s Home sarà sicuramente un album polarizzante e chi lo criticherà sosterrà che è lento, un bel modo per dire noioso. È innegabile: in generale, il disco ha ritmi meno serrati rispetto agli ultimi lavori e i singoli non solo non hanno la stessa forza di una Digital Witness o Los Ageless, ma sono anche le tracce meno rappresentative dell’LP. Il resto dell’album scorre fluido, ma calmo, richiedendo quindi pazienza e attenzione per essere apprezzato; l’inserimento di 3 interludi, che non aggiungono granché al tutto, non aiuta sicuramente ad alleggerire il carico.

Ad un secondo ascolto, Daddy’s Home risulterà però più piacevole e lo stile distintivo di Annie Clarke apparirà più evidente. I testi sono pregni di autoironia e leggerezza (“So, I went to the park just to watch the little children/ The mothers saw my heels and they said I wasn’t welcome”); la voce, nonostante per la prima volta non sia protagonista indiscussa per via dell’inserimento di voci corali, è sempre impeccabile, sia quando è angelica (Live In The Dream), sia quando è sensuale (Candy Darling), e la sua abilità nel suonare la chitarra riuscirà a sorprendere come al solito (gli assoli di The Melting Of The Sun e Live In The Dream piaceranno anche ai vostri genitori).

Possiamo dirlo senza timore: Daddy’s Home è un disco per boomer. Chi ritiene che non facciano più la musica di un tempo, sarà felice di aver trovato una musicista contemporanea capace di rivisitare con personalità e innovazione un’epoca musicale spesso dimenticata, ma è altrettanto vero che gli ascoltatori più giovani (e più pazienti), godranno di un affaccio su un’era che ha davvero tanto da raccontare. Non temete: così come fumarvi una canna non vi farà diventare eroinomani, ascoltare Daddy’s Home non vi trasformerà in un dinosauro capace solo di ripetere che il concerto dei Pink Floyd a Venezia è stato uno dei momenti più importanti della sua vita.

Tracce consigliate: Live In The Dream, …At The Hollyday Party