Dopo la reunion nel 2010, Chris Cornell e compagni tornano a 16 anni di distanza dall’ultimo album Down on the Upside, con un nuovo lavoro: King Animal.

Come bisimarli? Dopo una gioventù sulla cresta dell’onda, migliaia di fan e una scena, quella grunge, che li hai visti grandi protagonisti, chi non tornerebbe per rigonfiarsi il portafogli con i soldi di qualche impiegato quarantenne in crisi di mezza età? Il mercato delle reunion è (purtroppo) estremamente fiorente. I prezzi dei concerti li puoi sparare alti, i dischi vengono comprati nei centri commerciali, magari durante la spesa domenicale in famiglia. Il tuo pubblico è fatto di professionisti, non più giovani studenti che affollano i centri sociali ricercando i (nuovi) brividi dell’hard rock come negli anni 90.

Con King Animal, un lavoro che sarebbe stato scadente persino in pieno periodo grungy, i Soundgarden neanche ci provano a fare qualcosa di nuovo e non lo vogliono neppure dare a credere. Il suono è incredibilmente antico, stantio, tanto che ricorda più il rock duro degli anni 80 (quello alla Motörhead per interderci) che non i loro vecchi album, lasciando davvero poco spazio al piglio alternative degli esordi.

Il modus operandi è quello del rock più classico e banale, qualche riff sulla falsariga di Jimmy Page, sezione ritmica di contorno e una voce bolsa e pomposa che urlacchia qualche ritornello anacronistico sui sentimenti di un periodo che (per quanto possa essere stato bello) è ormai morto, passato.

Non c’è molto altro da dire su King Animal. I Soundgarden lasciano veramente l’amaro in bocca con questo ritorno, soprattutto a chi li ha amati davvero, a quei ragazzi che si erano riconosciuti nello spirito della generazione che rappresentavano, che ora mercificano malamente sfruttando debolezze e ricordi.