C’è stata una fase in cui l’accoppiata donna+chitarra era condizione sufficiente per essere bollata come Riot Grrrl. Erano riot grrrl (per davvero) le Sleater-Kinney, le Bikini Kill e i Gossip – custodisco gelosamente NME con in copertina Beth Ditto nuda, nel 2008, molto prima che arrivassero LizzoAshley Graham e la body positivity – ma erano anche riot grrrl (falso) PJ Harvey, Kim Gordon e a momenti pure Beyoncé.

Oggi che l’accoppiata donna+chitarra è una condizione più comune o forse solo più visibile è facile parlare di “scena” e ripetere lo stesso errore del periodo sono-tutte-riot-grrrl ma, diciamolo insieme: quello della donna+chitarra non è un genere musicale. Stella Donnelly non suona come Julien Baker, che non suona come Snail Mail che non suona come Phoebe Bridgers che non suona come Soccer Mommy. Sì, hanno tutte meno di trent’anni. Sì, usano tutte voce e chitarra per parlare delle proprie vulnerabilità. No, non fanno tutte la stessa musica.

color theory è il secondo album in studio di Sophie Allison aka Soccer Mommy dopo il grande successo di Clean, debutto indie-rock a tema amori sfigati che l’ha portata ad aprire per Wilco e Vampire Weekend e a suonare al Coachella, e che anche il New York Times ha inserito nella sua classifica degli album migliori del 2018. Dopo Your Dog, Sophie dimostra per la seconda volta che se c’è una cosa che sa fare davvero bene è cantare parole devastanti su melodie molto ma molto catchy. Sì, perché color theory è un album che parla di temi ben più complessi e gravosi di Clean, dalla malattia fisica a quelle mentali, e lo fa in modo intimo, onesto e diretto, ma – sorpresa! – rispetto al suo predecessore suona meno emo e più pop e dreamy. Gli oltre sette minuti di yellow is the colour of her eyes – pezzo in cui la Allison parla della malattia della madre diagnosticatale quando era ancora adolescente – sono un pugno allo stomaco dolcissimo, con un motivetto sognante e ricorrente che ricorda i Beach House.

L’influenza degli anni ’90 e dei primi anni 2000 sull’estetica e sui suoni è evidente: quando in Circle the drain canta con voce un po’ angelica un po’ flat “Things feel that low sometimes / Even when everything is fine” non si può fare a meno di pensare a Sheryl Crow e al suo “If it makes you happy / why the hell are you so sad”. Il pezzo d’apertura, Bloodstream, avrebbe fatto da colonna sonora perfetta ad una puntata di Dawson’s CreekCircle the drain – senza ombra di dubbio il pezzo migliore del disco – dovrebbe essere la Complicated o la Torn del 2020 e dovrebbe passare su tutte le radio se vivessimo in un mondo giusto, mentre royal screw up e stain suonano come suonerebbero le Hole se fossero prodotte in questo decennio.

color theory suona come se la devastante carica emotiva di Julien Baker si fosse unita all’anima pop di Taylor Swift: broke, but beautiful.

Tracce consigliate: circle the drain, yellow is the color of her eyes, stain