Siamo abituati a vedere slowthai come un joker: partendo dal debut Nothing Great About Britain, passando per la problematica apparizione ai NME Awards dello scorso anno, l’artista inglese, come Heath Ledger in The Dark Knight, tra le righe della sua immensa sfacciataggine sembra sempre volerci domandare “Why so serious?“. Nelle ultime sette tracce di TYRON, il suo nuovo album, tutta questa impalcatura crolla; il joker, che persiste nei primi sette brani dell’album, alla metà del lavoro cede il passo al clown malinconico.
La linea che separa le due facce di TYRON è il caps lock: dando anche solo un’occhiata alla tracklist, vediamo che le prime sette canzoni sono titolate in maiuscolo, mentre le altre sette tutte in minuscolo; l’anno zero della distinzione è PLAY WITH FIRE. Ma distinzione tra cosa? La sezione “maiuscola” è quella in cui slowthai tiene i toni del disco molto alti e aspri – ed è qualcosa che dal rapper britannico ci aspettiamo; mentre non ci aspettavamo ciò che ascoltiamo nella seconda sezione dell’album, quella “minuscola”, in cui si palesa uno slowthai intimistico, quieto e riflessivo: caratteristiche inusuali per lui, che mostrano un suo volto inedito. Inutile negare che, pur confondendo l’inquadramento che di slowthai si era fatto finora, questa seconda parte di TYRON sia la più stimolante.
Le prime sette tracce di TYRON sono crude, caratterizzate da barre ispide incastonate dentro a un suono perfettamente riconoscibile; anzi, forse anche troppo. La parte in caps lock è infatti quella in cui TYRON suona come suonano una miriade di dischi americani degli ultimi dieci anni, da FUTURE in poi. Queste prime sette tracce dell’album sono sicuramente ben confezionate: c’è una bomba con Skepta che è CANCELLED, c’è un feat. d’eccellenza con A$AP Rocky, ma nel loro complesso sono tracce caratterizzate da elementi musicali ormai reiterati. Basi, fraseggio, temi: in TYRON “maiuscolo” è tutto un trappare forte da parte di slowthai, ed è fatto nel modo più americano possibile. Questa sezione dell’album ricorda nitidamente la crudezza di Ski Mask The Slump God, il Travis Scott di goosebumps, ma anche i tratti esasperati – talmente esasperati da diventare pop – di 6ix9ine. Con il controverso rapper dai capelli arcobaleno, slowthai condivide proprio quello che in questa prima parte di TYRON predomina: la voce deformata dalle boccacce e i muscoli della faccia sempre tesi, un flow sincopato, tra sorrisi inquietanti e ghigni diabolici da joker.
Ma poi le espressioni facciali si distendono, e dai toni alti del maiuscolo si raggiungono quelli più sopiti del minuscolo. Inizia la seconda parte di TYRON e per la prima volta abbiamo davanti a noi un nuovo volto di slowthai. Il joker mostra l’altra faccia di sé, finora inedita. Lentamente traghettati da PLAY WITH FIRE, ci addentriamo in brani intimi come i tried e focus, nelle atmosfere soffuse di terms e, soprattutto, in quelle di push, un brano dall’incedere delicato, impreziosito dalla voce di Deb Never, che si alterna alla perfezione con i versi di slowthai. Poi ci sono le belle nhs e adhd a contenere tra loro la perla del disco, che è feel away, collaborazione con James Blake e i Mount Kimbie, uscita lo scorso settembre, ora punta di diamante di TYRON. Tra i “minuscoli”, slowthai si affaccia al versante emo-rap, strizza l’occhio alla musica di Lil Peep, e molto a quella di Yung Lean; tra produzioni cupe e testi riflessivi, l’artista britannico si guarda allo specchio, offre momenti autobiografici, una versione di sé sofferta e a tratti sconsolata, crepuscolare. L’altra faccia del joker, la faccia malinconica del clown.
Ascoltando TYRON, il pensiero si riduce, alla fine, allo schema mentale più confortevole che conosciamo: lo schema manicheo, la divisione in due parti, le due facce opposte della stessa medaglia. Siamo abituati a considerare il mondo diviso in due parti, questo schema mentale alla base della nostra cultura è uno dei cuscini più comodi su cui possiamo adagiarci. Ed è per questo che risulta strano leggere così facilmente un disco di slowthai, ma così è: TYRON è un album che si basa su una costruzione facile, troppo facile; per una buona metà molto interessante, nel suo complesso poco memorabile.
Tracce consigliate: CANCELLED, feel away