Il primo album di Santigold si chiamava Santogold. Anche Santigold prima si chiamava Santogold. Poi Gesù ha moltiplicato i pani e i niggas ed è arrivata Santigold. Quell’album, uscito nel 2008, l’avevo comprato e non era stato così malaccio, una nigga che si discostava nettamente da quei suoni tipici da niggaz.
In questo periodo dominato dalle varie Azealia Banks, Nicki Minaj, Iggy Azalea e amiche care che escono tutte insieme la domenica e portano i culoni tra i niggas della Maybach Music per fare del mondo un posto migliore, Santigold decide che è ora di fare la sua parte. Ah, non dimentichiamo di citare M.I.A., che però pare non avere particolari intralci con Rick Ross & co.
Comunque ecco che nel 2008 Santigold entra in scena acquistando fama e Gucci e LV soprattuto in Europa, per quanto si era allontanata da quelle sonorità tanto amiche agli eroi made in US. Ora la Santi decide che è ora di cambiare. Conquistare Capitan America e i McDonald’s di tutto l’Arkansas.
È così che mette su un look da black rapper come si deve, $wag a più non posso, e andiamoci giù pesante. Chiede udienza a M.I.A., diventano BFF e cominciano a bere NUVO insieme, che birichine, guardate.
Dicevamo che Santi ha sempre voluto discostarsi da quel r’n’b tipico delle sue colleghe e c’era andata giù di batteria, basso, chitarre e synth.
In Master of My Make-Believe qualcosa è cambiato, e ce ne accorgiamo subito. Non resta più soltanto un album piacevole, è qualcosa di più, qualcosa che detto al loro modo definirei tipo: “This album $hits on all those $tupid HOE$!”.
Perché con questo secondo album la rapper di Philadelphia doveva dimostrare qualcosa, maturità, consacrazione, o fallimento. Ed è subito sera, ed è subito consacrazione, svolta, vittoria per lei, riesce ad imporsi con quest’album ma in modo diverso dalle altre, discostandosi dal mero stereotipo delle sue colleghe.
Ciò che salta subito alle orecchie di quest’album è la produzione, un lavoro impressionante: il production team include Boyz Noise, Major Lazer (Diplo e Switch), e David Sitek dei Tv On The Radio. Il risultato è formidabile, intelligente: tutto è melodia, piena della voce di Santi che regna profonda, goth qua è là, elettro-reggae, drum machines, le linee di basso e i paesaggi tribali che tutto è una bomba. Un pop non esattamente voluto o cercato, ma perfettamente riuscito. Suoni unici per un concentrato di culture e popoli e un prodotto originale.
Le tracce sono tutte piuttosto eterogenee, si parte forte con GO! (feat. Karen O, frontman degli Yeah Yeah Yeahs), che balla su percussioni e linee vocali in stile M.I.A., dalla quale però si discosta poi abilmente con beat afro che sentiremo in tutto il disco, e che ci parla della “fama” intesa nel senso contemporaneo del termine, Tv, sesso, Grande Fratello, Paris Hilton e Deer Waves. Disperate Youth, la voce fa da padrona, in questi ritmi un po’ reggae con chitarre e percussioni illusorie. Inno alla gioventù che farà compagnia a molti di voi. God From the Machine è quel concentrato di culture di cui parlavamo, suoni della new wave, elettronica, beat afro, la pizza col cous cous, tutto contro la destra religiosa nella maniera cristiana del termine. Mi farebbe schifo comunque la pizza col cous cous, ma quest’album mi piace sempre di più.
Fame ed i suoi synth ci riportano al primo album, mentre ci avviciniamo alla Minaj e amiche da Freak Like Me, con una voce più nigga e meno profonda del solito, roba da far muovere tanti BB.
This Isn’t Our Parade e The Riot’s Gone sono due pezzoni, molto dreamy, che con The Keepers che continuano a regalare eterogeneità all’album, con beats che rendono l’ascolto continuamente piacevole e delle lyrics che non lasciano nulla al caso: “We’re the keepers, while we sleep in America our house is burning down“, da The Keepers, tanto per dirne una.
Le ultime due tracce di Master of My Make-Believe si discostano ancora tanto dalle altre.
Look at These Hoes segue un po’ ciò che abbiamo sentito ultimamente in Azealia Banks, con 212 e Fuck Up The Fun (Diplo è ovunque ormai), voce decisa, drum machines, suoni più hip-hop e da nigga$ purosangue, Big Mouth è tutta una bomba, chiusura degna per un album di livello, si accenna al moombahton, con questi suoni tribali che ti tengono su e ti fanno ballare una sera d’estate lì in spiaggia, synth e tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
È così che è finito, Santigold ha fatto uno di quegli album che senza troppo entusiasmo definirei maturo, completo, un po’ mi torna in mente ciò che nel 2010 ,mi ha dato My Beautiful Twisted Dark Fantasy di Kanye, uno dei due Niggaz a Parigi. Non siamo certamente a quei livelli, ma credo che Santigold ora possa farsi guardare dal basso verso l’alto. E spero porti delle belle mutandine.
Master of My Make-Believe è quel disco che dal non mainstream riuscirà a diventarlo e ad invadere le orecchie di tanti. Azealia e le altre sono avvisate.
DOPE ALBUM.