WARP253_Packshot_480Etichetta: Warp
Anno: 2014

Simile a:
Hudson Mowhake – Butter
Flying Lotus – Until The Quiet Comes
Giraffage – Comfort

Ci sono due cose che fanno notizia: la prima è che finalmente Rustie è tornato, la seconda è che il suo disco probabilmente non finirà in cima a nessuna classifica di fine anno.
Son passati ben tre anni da quella mina che è stata Glass Sword: disco che, quando è uscito, ha influenzato molto il resto della musica elettronica, scostandosi, insieme ad altri, come Fliyng Lotus, dal solito minimalismo tetro e glaciale che fino ad allora dominava, tanto da portare la critica a parlare di massimalismo. Aldilà dei gusti personali, quindi, un album che ha davvero lasciato il segno.

Ed è proprio quello che invece non lascia questa nuova creatura, Green Language: nonostante si noti chiaramente il talento cristallino del buon Rustie, ciò che ne esce è in larga parte un lavoro che forse non manca tanto di ispirazione, quanto di incisività.
I suoni sono sempre fantastici, le atmosfere sono oniriche e stellari ma nell’insieme nulla ti rimane troppo dentro, niente ti fa vibrare nonostante l’ascolto sia più che gradevole.
Per chiarire: siamo di fronte ad un buon disco mentre il mondo si aspettava un gran disco.
Non c’è l’ampiezza sonora, la colorazione, la complessità che ritroviamo nel suo predecessore, Rustie vuole cavalcare nuovi orizzonti e in parte ci riesce, ma senza sconvolgere.
Avvertiamo già differenze con Worship e A Glimpse, i due brani iniziali, dall’atmosfera spaziale, che ci aprono subito la pista per uno dei migliori brani, Raptor, traccia dal cuore dub e l’anima dreamy. Paradise Stone è una traccia completamente anonima che ci trasporta verso sonorità più hip-hop, testimoniate dalle collaborazioni con Double-E e Danny Brown, rispettivamente in Up Down e Attak: senza problemi possiamo dire che la seconda spacca ed è quindi decisamente più riuscita della prima, che non esalta per nulla. Sorpassiamo tutto d’un fiato la breve e intensa Tempest per giungere nel colorato R&B di He Hate Me dove stavolta gli intrusi sono i Gorgeous Children. Dopo tutto ciò arriviamo finalmente a Velcro che forse è la traccia che più ci ricorda il vecchio Rustie e che rappresenta uno dei picchi dell’intero disco. Il resto è poca roba, ormai il meglio è passato: con Lost si ritorna sull’R&B con l’ausilio stavolta di Redinho, la traccia è orecchiabile ma decisamente fiacca. Il trittico finale è abbastanza dimenticabile, anche se le implacabili note di piano della title-track in chiusura contengono un certo fascino. La sensazione è che Rustie non fosse proprio perfettamente a suo agio e sopratutto non lo pare nei brani in cui ha ospiti (tranne quello con quel tipetto tranqui di Danny Brown), per questo la scelta di avere così tante collaborazioni sembra rivelarsi non ottimale.

E’ evidente comunque che il musicista di Glasgow abbia sia le capacità che il tempo dalla sua: è lampante anche in un disco dove non ha dato il suo massimo.
Un lavoro che comunque non è assolutamente mediocre e che paga inevitabilmente il confronto col predecessore: ne esce quindi un po’ penalizzato. Di sicuro Green Language non influenzerà il resto della musica negli anni a venire.

Traccia consigliata: Velcro