royksopp_paint_2Niente fuochi d’artificio, non questa volta.
Fa strano ascoltare un disco dei Röyksopp così definito e definitivo, impegnato a recitare il passato e il futuro di una band che ha disintegrato il muro di Berlino che circondava il nord Europa musicale. Fa strano anche ricordare di quando MTV premiava il Best Nordic Act, che ad oggi potrebbe vederli in un ipotetico ballottaggio con Avicii. Per fortuna “non ci sono più i confini di una volta” e neanche il Best Nordic Act.

Siamo tutti consapevoli che questa storia dell’EDM non va giù a nessuno, e che il concetto di nordico da condizione di essere si è evoluto talvolta in puro estetismo. Non che si voglia incolpare la Lykke Li di turno per la commercialità o i Little Dragon per gli apprezzamenti d’oltreoceano, ma se c’è qualcuno che ha da dire qualcosa a riguardo, beh, chi se non loro.
E ne dicono di cose e come, seduti sul ciglio di un palcoscenico buio con le gambe nel vuoto, parlando in modo confidenziale con il pubblico in prima fila perché costretti a dare voce ad una fine inevitabile.

Pur trattandosi di un disco alla Röyksopp, che prende spunto dalla bellezza delle loro vecchie produzioni, il problema di Inevitable End è il parlare tanto e il suonare meno. Nonostante ripetuti ascolti, stento a credere di non essere ancora ipnotizzato dallo space pop di Junior, dalle morning vibes di Melody A.M., o dai beat selvaggi di Senior. C’è tutto e niente, dalla techno vibrante di Skulls macchiata da un vocoder, alla elettro pop pulita di Running To The Sea, all’upbeat avulsa di Monument alla quale si preferisce di gran lunga la versione tratta dall’album Do It Again con Robyn, il dream team del 2014 e il motivo per cui vale la pena ricordare il 2014 del duo norvegese.

Poi ci sono le pause, momenti di riflessione che parlano più del resto, come se la fiducia nella grandezza della sola musica sia svanita all’improvviso, cadendo in uno stato tra il malinconico e il depressivo che sfocia nel bisogno di condividere delle opinioni: I never meant to be this way/Never thought that I could change. In pezzi come You Know You Have To Go e I Had This Thing la voce di Jamie Irrepressible inibisce i soundscapes ai quali eravamo abituati con un risultato dannatamente pop, che si adagia su un’organica downtempo priva di quell’autenticità dark che fa stile.

C’è da rassegnarsi, questi non sono i Röyksopp di una volta, ma dei Daft Punk senza casco. Ci lasciano con un giro di basso, chissà il futuro cosa ci riserva.
But now you have to go/There’s nothing more to say.
Grazie lo stesso.

Traccia consigliata: Thank You.