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La prima domanda dopo un attento ascolto di Postcards From Paradise è: “Perché Ringo, Perché?” . Hai settantacinque anni portati egregiamente, potresti vivere di rendita tra royalties, comparsate alla Rock And Roll Hall Of Fame e tributi ai Beatles e invece no, ti ostini a comporre “inediti”. Se fosse stato un album di Brian Eno probabilmente avrebbe avuto un titolo diverso, tipo Music For Supermarkets. Quello che emerge dal diciottesimo lavoro in studio dell’ex Beatle è un coacervo di sterili citazioni alla Merseybeat, a cominciare dalla iper derivativa Not Looking Back (mai titolo fu meno azzeccato). L’opener Rory and the Hurricanes rappresenta un po’ la cifra di tutto il disco: difficile non pensare a un brano del genere come a un outtake poco riuscito del repertorio pop inglese anni Sessanta. Le cose non migliorano con Island In the Sun, anche se il registro cambia grazie alla ritmica reggae, condita da ottoni e synth. Bamboula è probabilmente uno degli episodi più riusciti: Ringo riesce a smarcarsi dal suo passato, “with a little help from my friend” Van Dyke Parks, grazie all’apporto di percussioni e atmosfere world. Postcards From Paradise è stato registrato e prodotto nella tenuta californiana di Starr, autore a “quattro mani” di tutti i brani, composti assieme a numerosi ospiti tra cui vale la pena citare Peter Frampton, Todd Rundgren, Richard Marx e Joe Walsh.

In molti hanno dubitato delle qualità tecniche di Mr. Starkey, a cominciare dal figlio Zak (The Who, Oasis), che ricorda di aver preso solo una lezione dal padre, come ricorda lo stesso Ringo: “When I went to give Zak a second lesson, he said: ‘I can do that'[…] He was ten”, o da Bernard Purdie, celebre sessionman, che da anni va in giro dicendo di aver registrato sottobanco gran parte dei brani dei Fab Four. Io stesso ho tantissimi ricordi legati a Ringo: quando iniziai a suonare la batteria mi regalarono un paio delle sue bacchette signature, che conservo ancora con cura, tanto pregevoli esteticamente quanto grezze e poco ortodosse, un po’ come l’artista che le aveva sviluppate, praticamente inutilizzabili.

Ci sono dei miti che si tramandano di generazione in generazione nel mondo della musica, molti di questi riguardano la storia dei Beatles; tralasciando le vicende della (presunta) morte di Paul McCartney, oggi ci occuperemo di batteristi, ma non di Pete Best, meglio noto come il Quinto Beatle, nonchè il musicista più sfigato al mondo, capace di farsi cacciare dal quartetto di Liverpool, ma del suo sostituto, il ben più celebre Ringo Starr, aka the luckiest man in music.

E sì, non siete sbronzi, avete appena letto una recensione scritta al contrario. Tutto ciò ha un senso? No, un po’ come Postcards From Paradise.

Tracce consigliate: Bamboula.