Sarà capitato a tutti, almeno una volta, di fare qualcosa che “wow, ma come ho fatto?!“. Un progetto, un esame, un lavoro realizzato come nemmeno tu ti saresti mai sognato e che ti ricongiunge con te stesso e con l’idea che ti sei fatto delle tue capacità. “Non sono poi così coglione”. Pensi. E a quel momento, generalmente, ci ripensi ogni volta che devi fare una nuova impresa che sembra impossibile. Ma non sai che in realtà quello sarà la tua rovina. Ogni cosa che proverai a fare sarà condizionata da quel qualcosa che “wow ma come ho fatto?!” e rimarrai incastrato nelle sabbie mobili, dove non ci si muove per non rischiare di finire risucchiati.

Se spostiamo il ragionamento sui Purity Ring, beh, la deduzione è servita. Shrines è stato un disco che nel suo piccolo è stato epocale, con quella bellezza da Museo del Louvre che risponde al nome di Fineshrine. Un album indimenticabile; unico ed irripetibile. E difatti poi è arrivato another eternity, una mezza delusione anche con quella cosa dell’impresa impossibile che cerchi nei cassetti della memoria.

Ed ecco che non te ne sei accorto ma sono già passati cinque anni e dopo un lungo silenzio arriva il terzo lavoro, WOMB. Aspettative? Alte ma non altissime, perché poi la delusione ha un sapore ancora più amaro. Però ci speri e ti illudi e poi ci ripensi e poi ti illudi ancora.

La formula, purtroppo, rimane sempre la stessa anche se rispetto ad another eternity ci sono meno riferimenti alla musica da giostre ed alle scivolate un po’ cafone sull’EDM, che comunque ogni tanto affacciano la testa dalla trincea per vedere se c’è un cecchino pronto a sparare. i like the devil, ad esempio, rappresenta tutto quello che il duo canadese dovrebbe tenere lontano dalle loro produzioni. Così come il flauto di pan sintetizzato di vehemence.

Eccezion fatta per le due sopracitate, il lavoro è costruito per essere più premuroso nei confronti dell’ascoltatore ed è segnato da un timido ritorno alle atmosfere eteree degli esordi in versione realtà aumentata, cui si aggiunge il tocco creepy non solo nell’estetica, vedi Femia dedicata alla zia in cui Megan affronta il suo primo lutto familiare:

Run until the tears run dry
‘Til you cannot breathe
O’er the hills where I
Too someday will leave

Tutto sembra amplificato ed avvolgente, con la voce di Megan più matura ed ancora più sospirata. Da questo punto di vista il lavoro di studio ha tutta l’aria di un ottimo lavoro, a maggior ragione perché fatto praticamente tutto da loro due. L’intro di rubyinsides in effetti fa ben sperare, anche se ti rendi subito conto che puoi girarci intorno quanto vuoi, ma il terreno sotto i tuoi piedi rimane sempre lo stesso. E proprio quando stai iniziando a trascurare possibili difetti, arriva qualcosa a ricordarti che non sei nel mondo delle fiabe. Fuori tempo massimo la voce down-pitched di pink lighting. Nel corso dell’album, poi, ci sono avvicinamenti un po’ troppo pericolosi al pop da catalogo sulla scia dei soliti CHVRCHES. La hit stardrew o l’ipnotica peacefall non sembrano dare quel valore aggiunto che ci si aspetta dai pezzi forti dell’album. I droni sembrano aver le pile scariche e le luci al neon illuminano ad intermittenza. Molto interessante, invece, L’ocean song almanac che si colloca, nelle liriche e nelle melodie, proprio dove cielo e mare s’incontrano fino a confondersi all’orizzonte. Forse siamo davanti al più azzeccato intro per il loro prossimo tour.

Passano gli anni ed i Purity Ring non hanno sicuramente perso il tocco magico. Sembra, piuttosto, che abbiano perso il coraggio di far qualcosa che rompa la monotonia; che non si limiti a farti sentire figo, ma che lo sia effettivamente. Anche perché una volta che sei finito dentro le sabbie mobili, anche se non ti muovi finisci male lo stesso.

Tracce consigliate: almanac, stardrew