La psichedelia (psykhé, anima + dêlos, evidente, espresso) è un genere musical-cultural-visuale nato nei primi anni 60 per colpa della droga. Da allora di anni ne sono passati una cinquantina, e, senza voler assolutamente aprire in questa sede una spinosissima questione ponendo domande del tipo “Possiamo ancora considerare “sperimentale” un genere i cui canoni rimangono invariati da cinque decadi? Ha senso fare oggi “musica psichedelica”? Se sì, entro quali limiti/con quali accorgimenti? “, limitiamoci a riconoscere la verità lapalissiana che vuole che tra musica psichedelica bella e sensata e stronzate brutte e ripetitive composte e suonate da gente che si droga troppo vi sia una linea di confine sottilissima. Credo che, se messi nelle condizione di dover decidere a quale dei due gruppi citati poco sopra appartiene il lavoro di una band, possa esserci di grande aiuto considerare le coordinate spazio/tempo: se i Greateful Dead potevano permettersi di suonare un riffettino da acidati per 40 minuti davanti ad una platea estatica perché erano gli anni sessanta, nessuno l’aveva mai fatto prima e la loro poteva di fatto considerarsi una forma di espressione sensata e interessante, fare lo stesso oggi sarebbe da coglioni senza contatto con la realtà e senza orecchie, niente di più che una tristissima forma di revival sterile e vuota.

Quest’ampia e pensate premessa per entrare finalmente nel vivo e dire qualcosa di questo One Track Mind, quarto album dei newyorkesi Psychic Ills, e poter affermare con cognizione di causa che fa cagare.

Alternando momenti che gli affezionati al genere potranno anche apprezzare, fatti piacevole plagio di quello che potrebbe essere un lavoro a caso di una qualsiasi jam band anni ’60 (i già citati Greateful Dead, ad esempio), ad altri di pura noia, l’album scorre infinito, composto di canzoni troppo simili tra loro, delle quali nessuna dia mai un vero motivo per essere ricordata. L’opening track One More Time è un pezzo noiosetto, la successiva See You There una buona cover di un pezzo a caso degli Hawkwind -e così via, una canzone dopo l’altra, senza nessuna variazione di mood, senza nulla che ci faccia mai alzare dalla sedia. Unico pezzo sul quale possiamo registrare una variazione rispetto agli altri è la traccia acustica City Sun: solo voce, armonica mononota e chitarrina acustica alla Jorma Kaukonen (solo che lui la suonava meglio e la suonava cinquant’anni fa).
Tutto il resto è noia.

L’anno scorso ho recensito l’esordio dei Mystical Weapons, la jam band del bimbo di Lennon Sean: un disco bruttino fatto di una psichedelia un po’ velleitaria, ma che almeno provava a uscire dai Sacri Stereotipi del genere. Qui non ci si prova neanche, e si ha proprio l’impressione che lo sforzo più grande intrapreso dai tre membri del gruppo per incidere questo lavoro sia accordare la chitarra e infilare il cavo jack nell’amplificatore. I primi due erano anche abbastanza interessanti, ma questo One Track Mind è proprio un brutto disco.

Tracce consigliate: See You There

3.9/10