Alle spalle della poltrona sulla quale è seduto il mio analista c’è una vaporosa tenda bianca, tanto leggera e trasparente che, penetrata dalla luce, mostra la polvere sospesa lungo i raggi luminosi. L’arredamento ripercorre scrupolosamente lo stile vittoriano: carta da parati color crema, un divano con schienale e gambe in legno curvato, e odiosi ninnoli raffiguranti gatti.

“Sono diversi anni, credo quattro, che non vedo Seb Rochford. Tuttavia, prima di stamattina, ho sentito parlare di lui un paio di anni fa; ho sentito dire che ha passato un breve periodo assieme a quel compagnone di Brian Eno. Immagino la scena: Seb ha dei capelli riccio afro unici; non puoi assolutamente non farci caso, non fissare quei dannati capelli! Brian, invece…”
“Chi è questo Brian, M.? Non me ne hai mai parlato.”
“Si, Le stavo dicendo: Brian avrà l’età di mio padre, luminare in ambito musicale, è icona della musica sperimentale; figlio del pensiero ideologico sessantottino, all’inizio degli anni settanta è stato tastierista e ingegnere del suono per il gruppo britannico Roxy Music. Può, dunque, immaginare: lustrini, piume colorate e animal print immoderato.”
“Ho capito. Per intenderci, insomma, come David Bowie o Gary Glitter?”
“Esatto, quello che era detto il panorama del rock glitter.”
“Però, M., mi stavi parlando di Seb… dicevi?”
“Già! Stavo per dirLe che Seb, inaspettatamente, mi ha mandato una scatola con una lettera…”
“Bene, non l’avrei mai detto! Sei felice di questo? Che cosa hai provato quando hai letto ciò che ti ha scritto?”

Penso a quanto Seb ha scritto nelle poche righe: “There are themes running through the album, but at the moment they feel too personal to talk about. I hope that people might connect with it solely from a musical point of view, to find their own meaning in it.”
-Si, il nuovo album; dunque i Polar Bear non si sono fermati dopo l’uscita di Peepers.-
Apro l’involucro di carta di quotidiani e sistemo il disco in vinile sul piatto.
L’odore e il flebile rumore del caffè che esce dalla caffettiera si confonde con la linea armonica di Open See che apre In Each And Every One; il profilo definito da una dolce e pacata tristezza, particolare del minimalismo drone, immediatamente mi riporta a Brian Eno, e penetra con i sax di Pete Wareham e di Mark Lockheart questo nuovo giorno pallido. Dopo sette minuti lo stato di cupezza è già meno esplicito e con la sigaretta tra le dita muovo passi in piena libertà seguendo l’armonico Be Free; un brano di evasione, di scrittura libera, con il sassofono che suona esuberante in battute brevi e fugaci dettate dalla percussione di un geniale Seb. Ci siamo, eccolo il nu jazz di contaminazione elettronica che agita e scuote in un’atmosfera assillante. Il climax di intensità crescente si acuisce in Chotpot dove i piatti strillano, il giro house del contabbasso di Tom Herbert e i sax provano a seguire il drumming angusto e travagliato; Seb sei misterioso e indecifrabile, e io mi sento affannato e inquieto come Griffin Dunne in Fuori Orario. Pete sei maledettamente bravo, e ora che il disco gira su Lost In Death Part 2 ne ho la conferma; tu, Tom, con quel walking bass governi le mie sensazioni. Il lamento e il pianto del sassofono in Two Storms mi lascia scioccato e sottosopra, fino a quando Sometimes,di una cadenza sinistra, smorza e quieta il passo.
Seb, sei un caro amico, ma non posso certo negare che l’ascolto del tuo ultimo album sia stato accompagnato da un’agonia spigolosa, da uno stato di ansiosa attesa che non mi ha lasciato in pace per l’intera mattinata.

Tirato un respiro di sollievo e, liberato oramai dall’afflizione provata e provocatami, rispondo all’analista: “In each and every one of us coexists two storms or states of mind: death and life. Sometimes people are lost in death, while others open their eyes and see only life and life to live. I want to be free from this habit and lose my mind in the harmonies of Polar Bear.”

Traccia Consigliata: Be Free.