[Echoes] “And no-one showed us to the land / And no-one knows the where or whys […] And help me understand the best I can”. Monumentalizzata la sua impotenza, l’uomo, da quando per la prima volta ha sgranato gli occhi, si è abbandonato a chi, della discrasia appunto tra immobilità e coscienza, ne ha fatto un vivibile e piacevole stato. Accompagnato dunque lungo il perdurare perpetuo dello stadio REM da traghettatori di anime aventi tratti sovrumani, all’uomo, confuso e disorientato dall’atonia muscolare, è così rivelata l’esperienza prima che l’ha visto transitare presso il buio livido, il quale ha anticipato poi, poiché anticamera della vita, l’intensa luce. [Speak To Me / Breathe]. “Breathe, breathe in the air / Don’t be afraid to care”. Ancora lontano dal momento del riscuotimento, l’uomo è anzi spinto nel ventre del torpore dai nocchieri, i quali, senza porre tempo in mezzo, a esso svelano il mondo tutto. Si misura quindi l’uomo con il dolore e la pena [Sorrow]; con la morale di un società volta al capitalismo cieco [Animals]; con l’idolatria nella quale è caduto adorando i miti del suo tempo [Money].

“Did you even wonder why we had to run for shelter / When the promise of a brave new world unfurled / Beneath the clear blue sky?” [Goodbye Blue Sky]. Si raffronta dunque con la sua stessa fragilità e incompiutezza, con la sua pazzia [Brain Damage].
L’uomo è per cui portato dagli stessi accompagnatori di questo cammino onirico ad assaporare l’estetica della bellezza, e a riporre fiducia e speranza presso una nuova alba riflessa in uno specchio d’acqua sempre nuova “The Endless River / Forever and ever[High Hopes].

“Hey you, don’t tell me there’s no hope at all / Together we stand, divided we fall” [Hey You].

Chi ha mollato gli ormeggi e ha trascinato per primo la piccola barca lungo la riva del fiume porta sulle labbra un sorriso incolore e schizofrenico. Il fattore umano, così, da subito scalfisce le prime distanze edulcorando l’estro spigoloso dello stesso e dunque alimentando un mito tale da poter spiegare le vele al vento. Syd Barrett non solo disancora e definisce la rotta, formando e dando il nome al gruppo, bensì, involontariamente e di rimbalzo, permette sia costruita attorno alla sua persona una narrazione che veste la storia tutta dei Pink Floyd.
Il timone è condiviso e Barrett passa più tempo in cabina. L’introspezione e il genio di Roger Waters, così, ammorbidiscono il sacrificio del viaggio e delle veglie notturne. Gli spazi, ora, hanno una circoscrizione ancora più ampia e il viaggio si arricchisce di momenti di forte impatto emotivo dinanzi a scorci di una meraviglia rara e armonica. A David Gilmour, però, che nel silenzio ha mantenuto viva l’eredità affidatagli di Barrett, spetta adesso avvicinarsi alla costa per ancorare quello che era solo un piccolo gozzo.

“And then one day you find ten years have got behind you […] And you run and you run to catch up with the sun, but it’s sinking / And racing around to come up behind you again / The sun is the same in the relative way,but you’re older / Shorter of breath and one day closer to the heart” [Time].

“We certainly an unspoken understanding / Ah, but there’s a lot of things unsaid as well / We shout and argue and fight, and work it on out / The sum is better than the parts”. Queste poche parole, come prologo di The Endless River, contemplano intrinsecamente tutto il profilo simbolico del lavoro stesso e, riecheggianti in Things Left Unsaid, l’opener, si perdono nell’aura disegnata dal motivo surreale e fiabesco, il quale, poco dopo, è scomposto dall’organo di Richard Wright avvedutamente posto in scrittura come congiunzione tra il brano di apertura stesso e It’s What We Do. Quest’ultimo, espressione di Gilmour, si risolve nel disorientante pitch shift già in Marooned sfoggiato, a prova del fatto che il materiale è grosso modo lo stesso di The Division Bell. Riservato e introverso, il tastierista dei Pink Floyd venuto a mancare nel 2008, non si è mai imposto come figura chiave del progetto, e neppure è stato percepito mai come tale, seppure sia stato per esempio l’unico dei componenti a essersi perfezionato accademicamente in ambito musicale. Questo il motivo per cui David Gilmour espressamente ha definito The Endless River come il canto del cigno dello stesso Wright, quale elogio quindi per celebrarlo e per restituirgli i dovuti onori contemplando in questo le registrazioni inedite delle sue tastiere. Il sustain capillare della chitarra di Gilmour, poi, insieme all’irreale suono dell’organo di Wright, chiudono con Ebb And Flow la prima parte dell’album. A più riprese, per tutto il periodo e perimetro dell’album, si possono riscontrare momenti simili a quelli appena descritti. Sum vede risvegliarsi il drumming di Nick Mason che, nel successivo brano Skins, si lascia andare ad un assolo di rullante concitato e dai tempi stretti. Anisina, schiusasi dopo il breve preambolo strumentale Unsung, vede figurare al piano e alla chitarra Gilmour accompagnato nell’arrangiamento e nei passaggi glissati dal sax di Gilad Atzmon. Si susseguono, nella terza parte dell’album, numerosi passaggi caratterizzati da sonorità ambient, come in Night Light, ma anche seducenti spezzati strumentali, spogli e liberi da evoluzioni funamboliche, quali The Lost Art Of Conversation, On Noodle Street o Autumn’68. Subito dopo Allons-y (1) e Allons-y (2), le quali tracce, evidentemente, si completano tenendo conto delle medesime linee di chitarra sul loop di percussioni di Jon Carin. Stephen Hawking, poi, dopo Keep Talking in The Division Bell, pare ora e con Talkin’ Hawkin’, confermare appunto l’affettuoso abbraccio che già aveva riservato alla causa Pink Floyd materializzando, nel profondo e riflessivo testo, quello che era il tentativo di realizzare uno stretto nesso concettuale tra i due brani che contemplano la ragguardevole presenza del luminare della fisica. La quarta e ultima parte dell’album si apre con Calling; inebriante gradazione ascendente che dallo stato occlusivo e cavernoso iniziale spinge in direzione di un senso luminoso e liberante. Louder Than Words è l’ultimo brano di The Endless River e l’unico di tutto l’album con cantato in appoggio. Concepito come deus ex machina che risolve la trama ormai irrisolvibile della storia tutta dei Pink Floyd, il brano con sé porta un riverbero del sentimento di dolce e pacata tristezza proprio del testo stesso scritto da Polly Samson, moglie di David Gilmour. “It’s louder than words / The sum of our parts / The beat of our hearts / Is louder than words” [Louder Than Words].

Come già detto, The Endless River innegabilmente risulta una produzione non del tutto nuova, la quale, tra l’altro, non solo opera un’irrimediabile cesura, e dunque segna una fine, ma allo stesso tempo, mostra i tratti dello spartiacque, il quale ancor più rende chiara e marcata la linea temporale che organizza contenuti e conoscenze nostre circa i Pink Floyd. Sarà più semplice, dunque, passare la lingua sul nervo scoperto per me che ho lasciato il gruppo insieme a Waters dopo The Final Cut. Per cui potrei mostrarmi incline all’indifferenza, oppure ancora muovere una critica a questa architettata e scaltra operazione commerciale che è The Endless River. Porterò via le lacrime invece io altro che amo incondizionatamente i Pink Floyd e, nonostante tutto, ogni suo componente. La malinconia, infatti, mi attanaglia e non conosco altro che uno sbronzo pianto per il saluto finale che è The Endless River. Fino a quando, però, si continuerà a evidenziare tale dualità, non si farà altro che irrigidire l’idea stereotipata dei Pink Floyd. In sostanza, trasferendo a questi i caratteri di un marchio, allo stesso tempo si alimentano, anche involontariamente, le diatribe sterili e il totalitarismo culturale che lestamente avanza giocando a favore di prodotti preconfezionati e semplificati. E The Endless River è un piacevole ascolto che impegna, che richiede una predisposizione d’animo a riconoscere la possibilità introspettiva da ricercare presso la scrittura nei limiti del caso ben costruita e articolata, e che, per altro verso rispetto ai precedenti album, resterà una pietra miliare modesta.
“Is everyone in? / Are you having a nice time? / Now the final solution can be applied” [The Fletcher Memorial Home].

Tracce consigliate: Talkin’ Hawkin’Louder Than Words.