Voices_album_coverEtichetta: Repubblic
Anno: 2014

Simile a:
Portishead – Third
Cults – Cults
Sleigh BellsBitter Rivals

Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di un duo newyorchese che non si sa che cazzo abbia combinato.
Partiamo dall’inizio: un bel giorno nel lontano 2007, presso la contea di Saratoga, due giovani amici, Josh Carter e Sarah Barthel, decidono di fondare una band, i Phantogram, anche se inizialmente scelgono il nome Charlie Everywhere (fatto bene a cambiare). Dopo una serie di fortunati EP, il duo viene notato dalla Barsuk che ben presto farà uscire il loro primo lavoro, Eyelid MoviesIl disco ottiene un ottimo successo, sia di pubblico che di critica e i due si ritrovano sulla cresta dell’onda: collaborazione con Big Boi degli Outkast, ospiti in The Terror dei Flaming Lips e figurano pure nella soundtrack di Hunger Games. Sono costantemente in tour e partecipano ai maggiori festival, ma passano 5 anni e l’album nuovo non si decide ad arrivare, anche se nel frattempo rilasciano due buoni EP.

Insomma 5 anni non sono pochi, soprattutto per una band emergente, ma comunque l’attesa poteva suggerire una particolare attenzione e cura verso un secondo disco che avrebbe potuto consacrarli. E infatti di hype attorno se ne era creato molto, perché le premesse per fare il salto di qualità c’erano tutte. Ma qui arriva la nota dolente: a Febbraio esce il loro secondo album Voices ed è estremamente deludente.
Facciamo subito una premessa: il disco non è assolutamente uno scempio, ma è incomprensibile come una band che dovrebbe aver la voglia di emergere definitivamente e di spaccare tutto appaia così poco ispirata e timorosa, a tratti quasi apatica.
Il disco si sviluppa tra trip-hop e dream-pop in un’atmosfera come sempre cupa e rarefatta, dove a tenere in piedi la baracca è senza dubbio la voce sensuale e oscura della Barthel: ne è manifesto il singolo Fall in Love, il brano più riuscito del lotto insieme a Black out Days. L’altro volto dei Phantogram, Josh, appare in imbarazzante difficoltà come possiamo notare in I Don’t Blame You, pezzo debole e malcostruito. Assolutamente comprensibile, infatti, la scelta di far cantare la socia per la stragrande maggioranza del disco. Per il resto l’album va avanti alternando buone cose ad altre meno riuscite, ma tutte abbastanza dimenticabili: non certo immondizia ma anche le più positive risulatano piuttosto insipide e prive di colore. E’ il caso di The Day You Die, un buon pezzo che però manca di quel qualcosa in più che ti invogli a riascoltarla. Menzione speciale per Bill Murray che non si sa per quale dannato motivo si chiami così. E vabbè.

In definitiva non tutto è da buttare, ma Voices risulta davvero poca cosa. Forse complice anche il cambio di etichetta? (Nel mentre i due hanno cambiato scuderia infatti, approdando alla Repubblic). Può darsi, anche se il produttore John Hill (M.I.A., Santigold) non ci sembra proprio l’ultimo dei coglioni. Quello che rimane però è il più il classico degli amari in bocca, per una band in cui si intravede chiaramente del potenziale, ma che si accontenta di fare il compitino e probabilmente non riesce neanche in quello. Osare di più era doveroso, quest’approccio rimane davvero un enigma.

Traccia consigliata: Fall in Love