Key è l’alfabeto del post rock più classico, non eccelle in spunti creativi ma affascina e coinvolge come solo chi fa bene questo genere riesce. Non particolarmente lungo ma con una traccia che sfiora i quattordici minuti è tutto tranne che pesante: purtroppo il post rock come pochi altri generi ha il rischio di risultare spaccacoglioni ai più, la bravura di un gruppo, nel duemilaedodici quando il post rock è stato suonato tutto, è proprio non tanto il trovare qualcosa di nuovo, visto che è impossibile, quanto di piacere.

Key dopotutto è davvero un bel disco, la prima traccia è da pelle d’oca e tutto il disco risulta ancora più apprezzabile dal momento in cui chi non rappresenta un esordio ma doveva essere e sono contento nel dire che è, una bella conferma. Bravi coglioncelli, suonate proprio come i cugini down dei mogwai però siete dei bravi ragazzi e a me in fondo il post rock piace quasi quanto la roba da froci.
Vuoi che sia un momento del bio parco (dopo chiedo se si può bestemmiare su Deer Waves), vuoi che c’è sempre quel bellissimo concetto secondo il quale la musica a volte dice molto più delle parole (nel post rock si canta raramente, segnatevelo), vuoi che Pg. Lost suona figo quasi quanto Yes.pop degli M+ A, vuoi che gli M + A spaccano di più, vuoi che io il ventidue marzo non ho capito perchè ma ho caldo, vuoi che alla fine non c’è niente da dire su questo disco, vuoi andartene a cagare? Vuoi.
Però Key me lo tengo io.