Parte del patrimonio della musica pop odierna deve molto ai Pet Shop Boys. Ma anche per loro è giunta l’ora di tirare i remi in barca, con la pensione alle porte, e con la consapevolezza che invecchiando si finisce di imparare. Allora mi chiedo se sia cosa buona e giusta prendere sul serio l’undicesima fatica di Tennant e Lowe (da loro stessi definita happy-sad) , considerando la loro produttivissima carriera ricca di classifiche scalate e premi meritati. Elysium è una raccolta di ispirazioni, che pubblicate 20 anni fa sarebbero state già vecchie. La placatezza e la spensieratezza di un fondale marino non bastano per giustificare il 5 maggio dei psb da un punto di vista stilistico; potrebbe trattarsi di una playlist-regalo destinata ai milioni di fan concentrati nella West End londinese. Oddio, un tour come spalla dei Take That non ha alibi, infatti se Yes e Fundamental erano il frutto di un lavoro ben centrato in studio con un occhio riguardo alle esporazioni, Elysium funziona troppo come un greatist hits malinconico, dove i ricordi dei blue jeans e del maculato si accostano alla voglia di vivere nell’invisibilità. E’ assente quel connubio tra ironia robotica e dancefloor che caratterizza il psb sound. Tutto ciò non fa che accrescere il numero di sbadigli al minuto. It’s too late to find an excuse The party’s over. Ma non è detto che sarà così anche per i piano bar più scicchettosi.

L’involuzione che si legge in Elysium è visibile nel triste ambient-pop di Invisible, o nelle serenate periodiche in chiave Duran Duran di Breathing Spaces e Everything Means Something, due colpi bassi, così come Winner, pseudo-inno da stadio con accendini in primo piano. L’elettropop oscuro di Leaving e quello sfacciato strappalacrime di Face Like That è ciò che ci fa piacere ricordare, con la consapevolezza che Esylium non è altro che una playlist di arrivederci, utile ai pochi che credono che i New Order siano ancori vivi. Se è quello che volete, Neil e Chris, non posso che augurarvi un buon anonimato.