Quanti anni hanno i No Age? Non lo so, non importa. Sono potenzialmente giovani, parlano come se fossero giovani, suonano come se fossero giovani; se sono giovani o meno davvero non importa. A ma è la musica che fanno a farli giovani? Non lo so, tanto poi si muore tutti.

I No Age sono in due, si chiamano Randy Randall e Dean Allen Spunt, sono di Los Angeles, e con An Object sono al quarto album in studio di musica post-adolescenziale che odora di punk.

Parliamoci chiaro: i No Age sono dei nostalgici. E non sono nostalgici dei bei tempi andati, dell’amore del liceo, del cane morto di vecchiaia, delle figurine Panini e di Robocop; sono nostalgici del punk. Del punk, capite? Il punk. Che cazzo ve ne frega a voi del punk? Sì, dico a voi. Del punk di seconda generazione, quello che se ne va a spasso coi Pixies e Danny de Vito per intenderci; già i Pixies erano dei nostalgici, figuriamoci i No Age.
Bene. Poco importa, è una scelta. Sono nostalgici di ascolti selezionati da un calderone di roba che se erano nostalgici di Madonna probabilmente era uguale. Ma ok, mi sta bene. Hanno scelto il punk? Ok, non c’è problema. Solo capiamoci: a questo punto non si può più parlare di storia della musica, no? Voglio dire, c’è stata, sì, solo adesso non c’è più, è finita l’era di un susseguirsi cronologico di eventi e movimenti musicali (e culturali in genere se ci buttate l’occhio) che porta inevitabilmente a un appiattimento di intenti. Obiettivamente, fare oggi un gruppo che si ispiri a Madonna o ai Pixies, da un punto di vista di mercato, è la stessa cosa. Il punto è: non allarmatevi se i No Age non fanno a cazzotti con la polizia.
Nasce ora una domanda spontanea, e la faccio a voi, cos’è che fa la musica di oggi contemporanea, nuova? Cos’è che vi fa dire “questa roba è del 2013?”
Giuro attendo risposte.

Ora, tornando ai No Age, vi posso dire che, con An Object, rimangono ingarbugliati tra l’intento di portare avanti quello che fanno da una vita, che si traduce in “l’amore del punk”, e quello di contemporaneizzare questo stesso amore, cercando di rendere il punk una cosa dei giorni nostri. Si certo, falliscono miseramente; la loro faccia la potete trovare in terra con la bocca aperta, ancora atta ad accumulare pietre e insetti tra i più grandi.
Oh si beh, di per sé nell’operazione pensata dai due non c’è nulla di sbagliato, oggi si muovono tutti così, bisogna solo saperlo fare. I No Age non lo sanno fare. Diciamo che non hanno saputo leggere quello che li circondava.
Partiamo dall’hardware: i due, probabilmente con la primaria intenzione di farsi dire “bravi”, hanno stampato a mano un numero imprecisato (si, non lo so) di copie della copertina del disco; atto di per sé nobile e talentuoso ma che di certo non porta a nulla in una società fondata su internet. No dico, qualcuno di voi le ha toccate queste copertine? Uhm, come supponevo…
Poi, il disco, ascoltabile il giusto, si esplicita attraverso un’idea musicale che negli anni è rimasta pressoché la stessa, alla quale i due Los Angeles hanno aggiunto elementi a piacere.
Aggiungere dei sinth a casaccio non basta per fare un pezzo alla moda. Suonare piano, invece che forte, lo stesso giro d’accordi dal 2005 non aiuta a rifinire la parola “rinnovamento”. Il noise rock non è cosa che va di moda adesso, non in questi giorni perlomeno. L’incipit di No Ground è la cosa più brutta mai scritta o comunque pensata nella storia del mondo di dio. Capite che se avessero voluto fare una cosa migliore avrebbero dovuto buttare un occhio anche sulla struttura dei pezzi, e non buttarcela in faccia così pari pari.
Per quanto riguarda i suoni giuro non vale la pena parlarne, rifatevi pure ad altre testate.

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