Che genere suonate? Diciamo elettronica, dai. Ah quella dei club, quella dei campionamenti vocali e con la cassa che fa ballare! Nono mica quella! Cioè se vuoi ballare fallo pure, noi non ci offendiamo, ma diciamo che facciamo elettronica più sperimentale. Ah ho capito, quella che devo far finta di farmi piacere perché sennò faccio brutta figura.
Oh senti, non so cosa dirti, facciamo che ti ascolti il disco, Don’t Take It Personally (il secondo, successore di Otto) noi ci chiamiamo Niagara, siamo Gabriele Ottino e Davide Tomat, e veniamo da Torino.

Come già accennato in apertura, con Don’t Take It Personally il concetto di elettronica è da prendere con le pinze. La musica del duo viaggia infatti simultaneamente su più binari, abbracciando numerose correnti e rimandando alla mente più punti di riferimento, alle volte anche distanti. Ciò che ne risulta non è però un mescolone eterogeneo che puzza di già sentito, bensì un ascolto che scivola via liscio come l’olio seppur non sia sempre alla ricerca spasmodica dell’hook decisivo, della melodia catchy. I Niagara gestiscono numerose stratificazioni e tantissimi suoni con naturalezza, utilizzando parecchie macchine elettroniche, ma senza mai risultare troppo artificiali. Le voci aiutano sicuramente il processo di umanizzazione della musica, ma ciò che ancor più sorprende sono le venature pop nascoste potenzialmente dietro ad ogni traccia. Sin dal primo ascolto balzano all’orecchio due piccole grandi perle, Vanillacola e Currybox. Due pezzi incredibili, incalzante con sintetizzatori pungenti e un cantato affine ai TV On The Radio la prima, con un break tra strofa e ritornello mozzafiato, tra archi e controcanti, la seconda.
Sarebbe però sbagliatissimo fermarsi qui, alle prime impressioni.
Ogni ascolto rivela infatti sempre nuove gioie ai timpani, che, seppur piccole, sommate vanno a delineare i contorni e la sostanza di quello che è a tutti gli effetti un album estremamente positivo: dal climax di Laes che culmina in una festa beatlesiana per arrivare all’ambient strumentale di Popeye, dalla nenia triphop dell’opener John Barrett alla bellissima China Eclipse, tutta drum machine martellanti e tappetoni di synth sparati nel cosmo. I sei minuti di Else crescono manco fossero un pezzo dei Fuck Buttons.
Tutto il disco è sospeso in atmosfere oniriche, annegato in un riverbero difficilmente circoscrivibile a uno spazio ben preciso e, ancor di più, a un tempo definito.

Dati gli elementi sopra descritti è ormai ovvio che Don’t Take It Personally sia uno di quei dischi che la critica nostrana ama definire, con (anti)patriottico orgoglio, un ottimo prodotto da esportazione (basta guardare tra le collaborazioni, in cui spiccano Gonjasufi e Acid Pauli dei Notwist). Sbrigatevi dunque a far vostre queste melodie, un solo attimo in più e potrebbero essere già altrove.

Tracce consigliate: Vanillacola, Currybox.