È una vita che t’aspetto, ma Fabio Volo c’entra poco stavolta. Il quarto album dei Mystery Jets, Radlands, è arrivato.
A dire il vero l’album esce il 30 aprile via Rough Trade, ma noi siamo dei fuorilegge, e quindi è già 10 giorni che lo ascolto nell’intento di capire per davvero se i Mystery Jets mi abbiano fatto aspettare a vuoto, o se invece magari ne è valsa la pena.
La band londinese ha deciso di registrare Radlands in Texas, ad Austin, con l’intento di isolarsi dalla realtà londinese per provare qualcosa di nuovo. Album finito, Kai Fish (il bassista, ormai ex) lascia i Mystery Jets il 3 di aprile. C’è qualcosa che non va.
In testa abbiamo ancora Serotonin, un album che ci aveva ammaliato non tanto per l’essere un album trascendentale, ma per ciò che i 4 amici riescono costantemente a trasmettere grazie ad un arrangiamento sempre azzeccato, e con le lyrics di Blaine Harrison, che  poveretto, ne passa un po’ di tutti i colori.
Doveroso spendere due parole su di lui prima di parlare dell’album: Blaine Harrison, voce, tastiera e chitarra della band, è forse il disabile più relevant del momento, almeno in UK. Nasce con la spina bifida, un problema del sistema nervoso che colpisce le vertebre ad un neonato su 8000. Quel neonato su 8000 è stato Blaine Harrison. Blaine Harrison comincia a far musica quando capisce di non poter fare sport. In un certo qual modo, caro Blaine, grazie.
È sempre difficile giudicare oggettivamente un album di una delle band che ti sta più a cuore, ma ce la possiamo fare. Radlands, dicevo, è una vita che t’aspettavo. Cosa ci aspettavamo in realtà? Qualcosa di meglio dei lavori precedenti? O che magari i 4 ragazzi potessero deluderci? Io mi aspettavo proprio ciò che sto ascoltando. Un album che non resterà negli annali, come forse succederà con i Mystery Jets, ma comunque un album che qualcosa riesce a dartelo comunque.
Radlands apre i battenti con la title-track, Radlands. Non si parte certo in sordina, subito uno dei pezzi migliori dell’album. Distorsioni zero, tutto è puro e si chiarisce subito la preminenza dei testi su tutto il resto, che è un po’ il filo conduttore di tutti i lavori targati Mystery Jets. Nonostante questo la traccia è assolutamente di rilievo e regala un ascolto più che piacevole, il tutto scorre su un filo conduttore che risulta essere piuttosto malinconico, con chitarre che richiamano la pelle d’oca a rapporto.
Ciò che impressiona di più e subito è Someone Purer, che avevamo già ascoltato prima dell’uscita dell’album. Non so se siano necessarie parole, io ve lo dico a modo loro: “So deliver me from sin, and give me Rock’n’Roll”. Bomba. Roba che metti lì in loop anche per un giorno intero, che non ti stancherà facilmente.
The Ballad Of Emmerson Lonestar rallenta il ritmo, è una di quelle canzoni che non ci sorprende, sappiamo cosa stiamo ascoltando e si incastra tutto perfettamente. Greatest Hits è un altro gran pezzo, basso che si pronuncia e qualche accenno di vivacità leggera che porta tanti shalala a farci compagnia e a sorridere meglio e a muovere la testa a ritmo. Gli organi annunciano la messa, e anche Sister Everett, prodotto texano doc, ispirata ad un missionario incontrato ad Austin, “Mother Mary, r u gonna save me?” cantato da cori dolci e femminili. Lost In Austin è proprio Lost In Austin, lì nelle lande texane; Luminescence chiude il tutto in modo acustico, il viaggio è finito, la colonna sonora di un ritorno da un qualcosa che ti rimarrà dentro sempre.
Questo album non rimarrà nelle memorie sacre e negli annali di pesca, ma di sicuro rimarrà nella mia e di molti di voi. Così come i Mystery Jets.
E speriamo che Blaine continui a regalarci ancora tanto.