L’oceano grigio che di notte mi mangia vivo.

Ocean Roar è il secondo disco firmato Mount Eerie nell’annata 2012, la cosa è quantomeno apprezzabile, anche perché Clear Moon ci era piaciuto, e ci piace anche questo, e non vi dico come la cosa sarebbe da leggere da sinistra verso destra.
Quando Phil Elverum ti dice che ragiona per immagini io credo dica sul serio; Ocean Roar è il ruggito dell’oceano. Se ascolti Ocean Roar vieni mangiato vivo dall’oceano. E’ un dato di fatto.
Lo stesso discorso vale per Clear Moon, se chiudi gli occhi la vedi; Vedi la luna, tu che ci cammini sopra, che ci volteggi sopra, che cadi da lassù, che ci torni sopra.
Ma non perdetevi a chiudere gli occhi per troppo tempo, con Ocean Roar potrebbe definirsi un’esperienza pericolosa.
Il disco si apre con Pale Lights, una sferragliata di chitarre esplosive in faccia, che torneranno a salti alterni per tutto il resto del disco, fino a spegnersi lasciando spazio alla sua voce, che era da un po’ che la si aspettava, morbida, leggera, quella che ci ricordavamo, poi di nuovo le chitarre, e le tastiere coi tasti premuti a forza (c’è una nota in particolare che non se ne va mai) e il diavolo che balla.
Era l’onda assassina. Un naufragio mancato. Siamo vivi, ce lo ricorda Ocean Roar, la title track, seconda traccia, una ballata cantata a due con la signorina vestita di blu brava davvero a far intrecciare le mani e le braccia seguendo la musica in una danza che è anche un sogno o qualcosa del genere.
Da lì in poi il disco continua come fosse un film, con pause, dialoghi, brevi monologhi, situazioni inaspettate e notevoli colpi di scena, il ruggito dell’oceano è già nelle più ben arredate sale da cinema, correte a vederlo.