I Ministri son tornati, pappappero. Dopo tre anni di silenzio hanno deciso di ripartire dal principio, riprendendo il lavoro esattamente da dove era stato lasciato dopo la pubblicazione de I Soldi Sono Finiti. Capita la direzione presa dai nostri cari alternativoni e ascoltato sommariamente questo nuovo Per Un Passato Migliore, troppo facile sarebbe l’ironia sul testo del singolo Comunque, rilasciato un paio di mesi fa, che, con il senno di poi, suona proprio come un avvertimento: dopo i soldi son finite pure le idee, attenzione signori venghino, stiamo per pubblicare un gran disco di merda, ma vale la pena di provarci. La premessa è fatta della stessa fastidiosissima retorica che si è soliti sentire quando, come di recente, tira aria di elezioni e tutti i candidati ci fanni schifo: il tuo voto non cambia un cazzo, ma tutti insieme scegliamo il meno peggio, el pueblo unido jamás será vencido, tutti insieme contro il sistema demmerda, eccetera eccetera eccetera.

Abbiamo capito insomma, per questo disco si sono accontentati di un sound semplice, del distorto del loro bel testa-cassa Orange da quattromila euri e della loro chitarra che non vale niente, vera spada del sottoproletariato urbano brandita contro il viso dei potenti cattivi che ci uccidono lentamente con la crisi, la fame e i telefonini costosi.

L’album snocciola prevedibilmente una lunga serie di testi poco riusciti, che con magistrale perizia passano dalla rabbia contro tutto e la critica sociale del già citato singolo Comunque al nosense riempitivo dell’opening track Mammut, al magistrale compendio del semplicemente brutto de La pista anarchica. Nonostate le numerose e sensatissime critiche di poseraggio mosse ai nostri tre cari comunistelli, ammettiamo che, in passato, qualche buona trovata, almeno per quanta riguarda i testi, l’abbiano avuta: poco sinceri, molto prodotti, ma comunque innegabilmente ben fatti. Esaurite però le frecce al loro arco rivoluzionario, i nostri Robin Hood milanesi, per continuare a combattere il potere, si mettono a camminare in direzione dell’ultima gittata, e, raccolte le logore e già sentite invettive di sei anni prima, le riutilizzano, con la nonchalance e l’addossonaggine di quelli che fuori dal liceo cercano di venderti Lotta Comunista.
Da un punto di vista esclusivamente commerciale, la formula è la stessa di Paulo Coelho, che, dopo un’intuizione poco originale ma sicuramente efficace come poteva essere L’Alchimista, si ripete in eterno, continuando a propinarci stronzate che lo rendono ricco.
Questo disco suona anacronistico e privo di reali contenuti, un po’ come se Guccini (l’attempato ciccione postsovietico di ora, non il geniale avvinazzato sesantottino di Via Paolo Fabbri 43 -non volermene, buon Francescone) avesse fatto da paroliere per un disco dei Foo Fighters. Il sound è, come già detto, vicinissimo a quello degli esordi: chitarrone distorte, basso batteria e tante urlate nel microfono, ovviamente arrangiato e prodotto con maggiore proprietà. Ci sono anche un paio di ballate (Se si prendono te, I tuoi weekend mi distruggono), che su giri di accordi più che prevedibili snocciolano testi spesso poco significativi, quasi sempre di una pomposità ridicola e per nulla credibile. Il pessimismo e il senso di va tutto di merda è, come di consueto, il principale strumento retorico dei testi, che in questo lavoro raggiungono davvero picchi di già sentito degni di un tema di maturità di analisi sociale di un qualsiasi liceale, sempre in prima fila alle manifestazioni.

In un certo senso però questo disco va a segno: ci fa arrabbiare, e tanto. Non però, come voluto dai nostri bei rivoluzionari, contro società, ricchi e sistema. Questo disco rende schiumanti e sempre meno tolleranti nei confronti di quella retorica spiccia da stanco opinionista di sinistra, contro il pessimismo qualunquista di chi, nei momenti di crisi, riesce solamente a lamentarsi male. Questo Per un passato migliore non è un’abile analisi della società malata della quale siamo parte, tanto meno una convinta e irata invettiva, piuttosto una pila disarmante di luoghi comuni, critiche dal sapore decisamente troppo adolescenziale, invettive a vuoto urlate su pezzi punk/grunge dal sapore anni ’90, arrangiati e prodotti con il taglio di un disco fatto per andare in classifica.

Tanto vale provarci comunque, ok. Ma se non va non va.

Recommended track: Comunque

4.9/10