Fermi tutti, mi gira la testa. È domenica mattina, mi sono appena svegliata e mi tremano le pareti. Cosa è successo? Sto ascoltando Mdou Mactar, all’anagrafe Mahamadou Souleymane, e la prima parola che mi salta in mente è “vita”.

Il 21 maggio il chitarrista di origini nigerine, insieme alla sua band, ha rilasciato il suo ultimo album dal titolo Afrique Victime sotto l’etichetta Matador Records. Il titolo, così come la copertina, sono già abbastanza esplicativi ma vi posso assicurare che il contenuto è tutto fuorché prevedibile. In totale 9 tracce vanno a colmare 42 minuti della vostra grama esistenza scuotendovi per le spalle come fa il fastidioso amico di famiglia di vostro padre che continua a ripetervi di avervi visto nascere ogni volta che vi incontra – senza che voi naturalmente abbiate la più pallida idea di chi sia. 

Ed è esattamente ciò che accade con questo disco: sonorità lontane, per noi inusuali ma allo stesso tempo, in qualche modo, così inaspettatamente familiari. Le influenze dei Van Halen, di Jimi Hendrix e di un panorama rock leggendario si fanno spazio nella formazione e nei progetti di questo artista in maniera dirompente rientrando in quello che viene chiamato Tishoumaren, o Saharan Desert Blues. 

Nonostante questo però Mdou Mactar, chitarrista mancino autodidatta, ha dichiarato in passato di “non sapere esattamente cosa sia il rock” arrogandosi così l’inalienabile diritto di un’assoluta libertà musicale fatta di ritmi e riffs psichedelici capaci di fondere blues, funk, rock ed elettronica.

Chismiten apre l’album in un silenzio mattutino, con il frinire dei grilli e il canto dei galli. È una traccia-anfitrione per questa passeggiata nel deserto, caratterizzata da un crescendo costante in cui i riff di chitarra si impilano l’uno sull’altro in quello che l’artista ha dichiarato essere un canto di protesta contro l’invidia e la gelosia, oltre che un invito a diventare persone migliori, per un mondo migliore.

Nessuna traccia nasce per caso, tutte hanno qualcosa di ben preciso da comunicare: Taliat è un inchino alle donne Tuareg considerate come regine all’interno comunità, Ya Habibti è un’energica e travolgente dichiarazione d’amore universale ritmata da un grande battito di mani, Tala Tannam è un dolce canto di chitarra acustica con un finger tapping così delicato che ci accarezza i capelli e riporta il battito sotto i 150 bpm.  Il nucleo dell’album resta tuttavia l’omonima traccia Afrique Victime, un audiolibro da 7 minuti e mezzo, una narrazione gloriosa di quello che possiamo definire la più bella e anarchica forma di rock psichedelico dei nostri tempi. Il groove delle chitarre fa venire le vertigini e la voce mesta del cantante è pungente tanto quanto la sua Stratocaster.

Afrique Victime nel complesso è un progetto affilato di protesta politica contro la feroce colonizzazione e lo sfruttamento dell’Africa Occidentale. È una preghiera per non dimenticare le atrocità commesse dalle truppe francesi colpevoli dei massacri di migliaia di donne, uomini e bambini che, a più di cento di anni di distanza, restano un tema delicato da affrontare. Per questo l’artista decide di rivolgersi al suo pubblico in un provocatorio pianto in lingua francese “L’Africa è vittima di tanti crimini e se restiamo in silenzio sarà la nostra fine” e proseguendo in TamasheqPerché sta succedendo questo? Qual è la ragione dietro a ciò? Miei fratelli e sorelle, ditemi, perché sta succedendo questo?”.

La malinconica e spietata verità del messaggio lanciato da Mdou Moctar, tuttavia, non esclude un senso di speranza, di unione e di accoglienza che l’artista trasmette per l’intera durata dell’album. L’impressione è di quella riunirsi seduti a terra, con le gambe incrociate, intorno al sempre presente “tizio che ha portato la chitarra” come se fosse stato allestito un campo estivo su una duna di sabbia nel bel mezzo del Sahara dove non esistono confini e dove tutti sono liberi di cantare tanto forte quanto vogliono.

Ed ecco quindi che “vita” continua ad essere l’unico termine apparentemente adatto per descrivere il nobile intento di questo giovane artista, che di convenzionale ha ben poco e che senza sforzo mi ha fatto ricordare che la libertà sia talvolta un privilegio e che il deserto, tutto sommato, non è poi così lontano.

Tracce consigliate: Chismiten, Afrique Victime

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P.S. Non in molti lo sanno ma musica di Mdou Moctar si è diffusa originariamente per tutto il Sahara grazie a files mp3 condivisi tra cellulari tramite Bluetooth. Per rendere onore ai suoi esordi, un’edizione da collezione di Afrique Victime sarà resa disponibile precaricata su un emblematico telefono Nokia 6120. Si, è tutto vero. E se siamo fortunati magari ci troviamo pure Snake.