Se gridi “Matmos!” si girano tutti e due.

Rispettivamente Martin C. Schmidt e Andrew Daniel, due tipi a posto di Baltimora o Frisco sul west o east side.
Fanno musica elettronica, e si dichiarano campionatori di qualsiasi cosa, dall’acqua all’odore delle scarpe; in A Chance to Cut Is a Chance to Cure, del 2001, ce li ricordiamo perché hanno campionato i suoni di qualche operazione medica, liposuzione probabilmente, e qualcosa inerente alla chirurgia plastica anche.
Pare difficile definire i Matmos con una parola sola, sì elettronica, ma non solo; Con tutti i generi toccati dai due in bene o male vent’anni di carriera si potrebbe parlare di elettronica eterogenea o elettromisc se proprio vi piacciono le parole. E probabilmente vi piacciono.
Innanzitutto credo sia giusto dire che i Matmos, fra i tanti, rappresentano probabilmente il modo giusto di fare musica e, se non è troppo d’azzardo, arte oggi.
Diamo per scontato che la musica di oggi, quella suonata, non sia frutto di un’operazione fine a se stessa, ma che sia qualcosa che nasca dalla realtà che ci circonda, da quello che viviamo, e che sia capace di farci guardare quello che vediamo tutti i giorni da un altro punto di vista; fottesega dei trascorsi biografici di ogni artista, ha importanza il periodo storico nel suo insieme, non so se mi spiego.
Detto questo, potrebbe apparire strano che non tutta la musica d’oggi ci appaia nuova.
Vero, ma non ci appare nuova semplicemente perché non lo è, togliamoci dalla testa l’idea di tempo lineare dritta verso l’innovazione figlia d’occidente e pensiamo al tempo come una spirale, tutto ritorna e si avanza a piedi.
Ecco quindi che ritornano gli anni ’60 e poi gli ’80 in una veste tutta nuova e luccicante, ripetizione sì, ma differente.
Ora, chiaramente i Matmos non hanno inventato nessun metodo (dato che a loro volta sono già ripetizione differente) ma se partiamo da questi presupposti riusciamo sicuramente a comprendere meglio quello che fanno.
The Marriage of True Minds, più che un disco, è una sorta di tafferuglio di esperimenti, quasi una grande performance, dove il disco non è altro che quello che ne rimane, la fotografia di un gioco fatto tra amici da far vedere ad altri amici.
Il disco si basa tutto sul concetto di telepatia, tanto che i due per scrivere il disco decidono di procedere nel seguente modo: studiano il metodo Ganzfeld e lo usano.
Per procedere è necessario avere: 2 persone, una chiamata “percipiente” e l’altra “agente”, 2 mezze palline da ping pong, un paio di cuffie che emettono rumore di fondo o “white noise”.
-Prendere il soggetto percipiente, riporlo sdraiato, mettergli sugli occhi le 2 mezze palline e nelle orecchie le cuffie, e lasciarlo in una stanza. In un’altra stanza il soggetto agente, concentratissimo, manderà segnali telepatici all’altro che cercherà di decifrare.- Questo è quanto. “Il concetto del disco” è quello che gli agenti Matmos hanno telepaticamente comunicato ai percipienti presi dalla strada nell’altra stanza. Il risultato? Immagini invidiabili al miglior Jim Morrison strafatto di Lsd, triangoli verdi per aria, parole sconce e disordinate, il senso comune disperso nelle fauci, The Marriage of True Minds.
Nove tracce, tra parti percussive toste, momenti pop, momenti techno trance, e grohl finali poco invidiabili da un metallaro serio.
Probabilmente uno dei lavori più eterogenei della band, da considerarsi come una macchina piena di ingranaggi privi di senso; si dice che oggi si riesce a convivere con miriadi di stili e colori attorno a noi e nello stesso posto semplicemente perchè non hanno più senso.
Se definisco i Matmos un gruppo contemporaneo? Sì.

Tracce consigliate: Very Large Green Triangles, You.