In tempi in cui volano accuse di sessismo con estrema facilità mi chiedo come mai di Madonna, che con ‘sta sbobba dell’eterna giovinezza impedisce al genere femminile di invecchiare serenamente, nessuno ha ancora detto nulla. Ma questo è un pessimo incipit per mettersi a parlare di un album. Sottoporrò la questione ai forum di Donna Moderna e in questa sede mi limiterò ad esternare qualche dettaglio circa la faticosa impresa che è stata l’ascolto di Rebel Heart. Perchè il fatto che miss Ciccone avverta la necessità di dimostrare che per lei il tempo non passa alzandosi la gonna per mostrarci le chiappe toniche ai Grammy Awards non mi turba più di tanto, e forse non mi scuote l’animo neanche il fatto che alla soglia dei sessanta i suoi testi parlino ancora di sballo adolescenziale. Quando poi però mi dici che ci si sballa sniffando la colla (nello specifico, in Devil Pray), bella mia, a quel punto non ce la faccio più.

Ma andiamo con ordine. Otto tracce si aggiungono alle sei tracce rese disponibili negli store digitali dopo il fattaccio del leak alla fine dello scorso anno, per un totale di quattorici brani e una durata complessiva di quasi un’ora nella versione standard. I più temerari sappiano che sono disponibili varie deluxe edition, alcune di oltre venti brani.

La dote che nel corso della sua carriera ha elevato Madonna al rango di regina del pop è stata senza dubbio la capacità di percepire sempre un attimo prima degli altri quando arrivava il momento di rigenerarsi e invertire le tendenze, come accadde persino con quell’ ibrido pacchiano di country e funk che fu Music, un album con cui uscì illesa dall’impasse creatasi nella scena pop di fine anni ‘90 satura di girlband.
Poi ad un tratto accade anche a lei l’inevitabile: Louise Veronica si mette a rincorrere le mode. Invece di affidarsi alle mani sapienti dei produttori di un tempo, punta tutto sui nomi scritti in alto nelle charts. Se dai sodalizi con Babyface e William Orbit sono nati due dei migliori album pop della storia (Bedtime Stories e Ray of Light), il calderone colmo e stucchevole che è Rebel Heart vanta invece contributors artistici quali Avicii, Kanye West e Nicki Minaj: il risultato è un completo abbandono alle derive di una EDM alienante, intervallata da rare tregue zuccherose in tonalità cinguettanti e più frequentemente da invadenti incisi reggaeton.

Nonostante l’infatuazione per le sonorità tamarre decise risalga ad alcuni anni fa ed abbia generato all’epoca i complessi arrangiamenti sintetici di Confessions on a Dancefloor, nei brani di Rebel Heart non sembra esserci alcuna traccia di quell’artista che per trent’anni è riuscita ad essere sperimentale e allo stesso tempo di largo consumo (chi non ammette di aver istintivamente sculettato sui loop di Hung Up almeno una volta nella vita è un hipster bugiardo). Tra nostalgici revival del sound della Madonna degli esordi e autocelebrazioni di dubbio gusto, nei rari frangenti in cui non è autoreferenziale riesce solo ad appiattirsi in formule già sdoganate dalle colleghe più giovani. E, quel che è peggio, fatta (forse) eccezione per Living for Love, singolo dagli accenni gospel messo lì quasi a suggerire quale sarebbe stata la direzione più auspicabile, Rebel Heart difetta di brani con le carte in regola per diventare hits, che è un errore imperdonabile ad un album pop.

Maddy, tu sei quella che è riuscita a convincermi che col dorso delle mani scarabocchiato di hennè sarei stata la più figa del liceo. Per non parlare di quel look texano che ora giace nell’angolo più buio dell’armadio a casa dei miei ma con cui all’epoca rimediai parecchie limonate. Sono sicura che ti avrei copiato anche il corsetto di Gaultier se nel 1990 avessi già avuto un paio di tette da metterci dentro. Non posso restare impassibile a guardarti mentre te ne ruzzoli giù dal palco dei Brit Awards come una Flavia Vento qualunque. ‘Che poi se non ti fossi messa a gridare Bitch, I’m Madonna forse a nessuno sarebbe venuto in mente di metterlo in dubbio sul serio.

Tracce consigliate: Living For Love.