Capita spesso che le nuove uscite mi prendano a tal punto da arrivare ad ascoltarmele in loop per un paio di giorni, ma questa è davvero un’eccezione: Sebenza degli LV l’ho praticamente consumato in due mesi di vita. Già, un album pubblicato quando Deer Waves non era ancora entrato a pieno regime, periodi in cui qualche chicca veniva persa per strada, più per impossibilità che per negligenza. Ad ogni modo in queste settimane ho cercato di spingere questo album davvero a chiunque, parlando dei video estratti e di quel messaggio che arriva forte e chiaro, diretto come un pugno nello stomaco. Nonostante il colpevole ritardo, mi sembra il caso di dedicarci una recensione, anche per evitare di continuare a ripetere lo stesso concetto ad ogni persona che incontro.

Con un occidente sempre più relegato ad una metaforica discarica culturale e gli anni 2000 capitanati da un approccio musicale “shibuya-no” e ”curatoriale” predisposto alla reinterpretazione del passato e ai revival, lo spirito pop ha bisogno, mai come ora, di nuova linfa vitale. Avendo ormai riciclato attitudini e suoni di ogni sorta, l’ispirazione non la si può che trovare in sensazioni occulte ed ancestrali, in movimenti esotici ed inesplorati, lontani da sempre dal commercio discografico, nonché da una limpida interpretazione dell’attualità. Se i paesi anglosassoni rappresentano il passato, l’Estremo Oriente il presente, geograficamente l’immaginario futuro non può che essere uno: l’Africa. Culturalmente, demograficamente e territorialmente il continente nero è un problema sempre maggiore ed è solo questione di tempo prima che prenda coscienza della sua forza intriseca.

Da South London, il trio di “bianchi” LV prodotti da una garanzia di qualità come la Hyperdub, affondando le radici nello UK funky e nella 2-step, ci presentano una percezione terzomondista dell’occidente, fatto di tecnologia, siti internet, pubblicità multinazionali e opportunità, visto da “zulu compurar”(s) africani. Sebenza (tipo di coltellino a serramanico e “lavoro” in Zulu) è grime della “peggior” specie, spaccato urbano londinese reso cupo da una base dubstep minimale e sgretolato  sotto il reppato kwaito, in Zulu, Xhosa e Inglese dal forte accento clandestino, dei sudafricani Okmalumkoolkat, Ruffest e Spoek Mathambo. Il tutto va a formare un dualismo a contrasto tra la grigia metrolipoli dei suoni in alta definizione e l’energico slang, ruvido, grezzo e immediato. Negli ultimi tempi, simili concetti di musica sono già stati proposti da artisti come Death Grips e Die Antwoord, raggiungendo però solo in parte (soprattutto i secondi) quella vitalità animale, freschezza compositiva e lucidità di intenti che contraddistinguono Sebenza. L’album sì svolge in 14 brani all’insegna di un futurismo allucinante, ben rappresentati dai “pezzi forti” Sebenza e Spitting Cobra (qui sotto proposti), supportati da video altrettanto stimolanti, autentico additivo alla droga dell’immaginario.

Un LP dai pesanti significati, ma di una facilità di ascolto alla portata di tutti; avvenieristico affresco della popolazione di un continente che si sta svegliando, alla ricerca di una forte identità nella società odierna “my slang is my language/please understand it/please understand it” e sempre più consapevole attraverso la tecnologia, il flusso di informazioni via web “look, I’m an mpeg/jpeg/limpid, legless, hatless/twitter avatar lookin’ for my blog address.”  e quella sicurezza che può dare solo la voglia di vivere e sopravvivere.