“Indie è per sempre”, è vero, però se i Los Campesinos! sono una band eternamente fraintesa e sottovalutata è anche colpa dell’ondata indie da cui sono nati. Emersi da quel calderone di indie pop della seconda metà degli anni 2000 con Hold On Now, Youngster…, la formazione gallese/inglese non è mai davvero stata simile alle altre band usa e getta di quel periodo: il tono upbeat, i coretti, i synthini e i glockenspiel in perfetto contrasto con il cinismo, la mestizia e la teatralità dei testi di Gareth David hanno contribuito a far uscire la band dal circolo delle one-hit wonder col ciuffetto sudato per far loro conquistare un pubblico più di nicchia ma fedelissimo – non quelli che vanno lì per cantare Death to Los Campesinos! e shazammare il resto, ma quelli che sanno a memoria tutti i testi della band e sono pronti ad urlarli insieme a quei sette (sette) matti su un palco di solito troppo stretto perché ci entrino tutti.
La trasformazione in piccola band di culto si è rivelata felice per i Los Campesinos!, che con Sick Scenes arrivano al sesto album dopo il bellissimo No Blues del 2013. Partorito in Portogallo durante un mondiale troppo breve per la nazionale inglese, il disco riflette appieno l’umore del periodo, mettendo candidamente al centro del disco i problemi di depressione dell’autore. I riferimenti simbolici e reali allo sport (e soprattutto al calcio) sono un punto fisso della lirica di David, la cui potenza sta proprio nel raccontare realtà drammatiche e cause perse con una verbosità caustica, letteraria e ballabile – un esempio era il gioco di parole con Joyce di A Portrait of the Trequartista as a Young Man – ed in Sick Scenes il calcio è ancora più centrale per diversi motivi.
Nell’apripista Renato Dall’Ara (2008) il riferimento alle vittorie e sconfitte della nazionale è un’analogia ironica della parabola ascendente e subito discendente della band nel 2008, e – sbeffeggiandosi un po’ da sola – è piena di quei coretti che tanto avevamo amato agli esordi. Uno stadio abbandonato ritorna nel primo singolo estratto I Broke Up in Amarante, che con un arrangiamento più minimale e una batteria secca e sorda ricorrente nel disco racconta del senso di isolamento di quei giorni e del continuo annegare il tutto nell’alcool fino al torpore perenne. Il talento di Gareth David sta anche, però, nel saper alleggerire i temi e dare al tutto un tono canzonatorio, a riprova di cui c’è il mix di registri di 5 Flucloxacillin: la scioltezza e sterilità con cui elenca i principi attivi che negli ultimi anni l’hanno sostenuto e la lucidità con cui ammette “Damned be the knowledge that’s it, now you have tried ‘em all”. In 5 Flucloxacillin intravediamo una faccia più pulita dei Los Campesinos!, una produzione meno corposa e un cantato che mette temporaneamente da parte l’urgenza marchio di fabbrica dei LC!, elemento – quest’ultimo – che troviamo anche nella ballad stracciacuore The Fall of Home; nella semplicità disarmante di “Left your home town for somewhere new, don’t be surprised now it’s leaving you” c’è vago riferimento alla Brexit (che torna in A Slow, Slow Death), ma anche a chi ha abbandonato la provincia e non la “capisce” più, e per l’occasione la band rispolvera il tanto amato violino.
In un album che sul lato lirico dimostra una maturità che oltre che del cinismo prende sempre più la forma della disillusione, la scelta del sound di essere meno massimalista ma più vicino al pop-punk sorprende un po’, soprattutto quando la batteria sorda e ripetitiva fa sentire un po’ la mancanza dei synth in primo piano ma anche perché, vista la collaborazione con Perfume Genius del chitarrista/produttore/compositore Tom Bromley, la scelta risulta abbastanza inaspettata. D’altra parte, però, è forse proprio nella schiettezza di brani come I Broke Up in Amarante che troviamo quel felice incastro di hook e disperazione in cui i LC! eccellono e che è impossibile togliersi dalla testa. Attenzione, però: le lacrimucce non mancano nemmeno per noi cinici, ché quando parte la trombetta di A Slow, Slow Death che fai, non canti anche tu “I got your initials inside a heart tattoo”?! E chi non salirebbe sul treno dei feels (ciuf-ciuf) quando Gareth riprende gli “heart swells” ricorrenti nella discografia trovando conforto nei versi “Now I feel the misery in your breast and mine is one and the same, and I feel close to fine”?! È davvero impossibile uscire indenni dai versi di Gareth David in Sick Scenes, versi che si sposano con l’elemento compositivo in modo ancora più coeso nella seconda parte del disco, che include un quartetto d’eccezione tra Here’s to the Fourth Time! e la già citata A Litany/Heart Swells – sicuramente tra le produzioni più mature della band.
I Los Campesinos! non hanno mai davvero fatto un passo falso, e con Sick Scenes non fanno che sfornare l’ennesimo gran disco noise pop, dimostrando non solo che un altro pop è possibile, ma anche che Gareth David è uno dei cantautori migliori che il panorama britannico abbia da offrire al momento. Armati di hashtag #LC4LYF, noi aspettiamo che il resto del mondo se ne renda conto.
Tracce consigliate: Got Stendhal’s, A Slow, Slow Death