Sono passati solo alcuni mesi dalla pubblicazione di Six Cups of Rebel e Hans Peter Lindstrøm torna già con un nuovo lavoro. Può però la sua prolificità giustificare l’uscita di Smalhans?

Quello che salta subito all’orecchio non è sicuramente l’evoluzione o il progresso di un discorso artistico o musicale, sebbene la differenza con il disco uscito a febbraio sia evidente dobbiamo parlare di Smalhans come di un esercizio tecnico o stilistico.

Netto è infatti l’orientamento di tutte le sei tracce che compongo quest’album, brani impostati per il dancefloor, far muover i culi sembra il proposito del producer norvegese.

Anche se non del tutto abbandonate le atmosfere dell’ottimo disco d’esordio siamo di fronte a un lavoro meno variegato. Quello che sostanzialmente caratterizza la mezz’ora di durata di questo disco sono le continue digressioni tech-house ben amalgamate con le ispirazioni più varie, dall’italo dance ai suoni patinati e minimal.

Neanche troppo originale la scelta dei nomi, che eccetto le persone di madrelingua norvegese ai più appariranno assurdi. Ma mentre gente come i Sigur Ròs cela dietro quegli impronunciabili nomi, titoli evocativi e significati “profondi” qui Lindstrøm si rifà alla tradizione culinaria norvegese, ogni pezzo porta il nome di piatti tipici, i quali lungi dallo snobismo culinario italiota non paiono tutto sommato ‘sta gran figata.

In definitiva non pare ‘sta gran figata neanche Smalhans, un piatto buono per arrivare a fine anno con qualcosa da ballare ma da digerire in fretta.