Album di debutto di Nate Mendel col moniker Lieutenant, If I Kill This Thing We’re All Going To Eat for a Week è di certo una grossa sorpresa, se non altro perchè ci mostra la pasta di cui è fatto un personaggio che, seppur presente da tempo sulla scena musicale, non lo è mai stato dal punto di vista compositivo. Per essere uno che da un paio di decenni di mestiere fa il bassista nei Foo Fighters Mendel ci confessa inclinazioni sonore che mai avremmo immaginato nel vederlo militare alle spalle di Dave Grohl. Messo da parte il basso, Nate si rivela un cantautore raffinato e un frontman elegante e introspettivo, fluidificando il bagaglio sonoro accumulato in numerose formazioni in un indie rock di buona fattura che non ha timore di suonare pop (nell’accezione migliore del termine, laddove pop resta sinonimo di efficace e fruibile).

Dei Foos resta traccia nel sostanzioso spazio concesso alle chitarre, che conferiscono la giusta dose di energia agli arrangiamenti, stratificati con cura. L’umore su cui fa perno l’intero album è però un altro, più affine all’emo della precedente formazione di Nate, altra faccia della Seattle musicale degli anni ‘90, i Sunny Day Real Estate. Pregio di If I Kill This Thing è di non somigliare ad alcuna delle versioni note del suo autore, ma di esserne una fusione sottile e consapevole che giunge dopo un lungo metabolismo creativo a un passo di distanza dalla luce dei riflettori altrui. “I’d never written lyrics before but I wanted it to come from somewhere authentic, somewhere real”, dichiara lui stesso, e colpisce nel segno perchè il prodotto finale suona esattamente così, spontaneo e urgente.

Lo spessore emotivo di Mendel songwriter è palpabile nelle liriche intimiste, rese ancor più efficaci dal suo timbro profondo e ovattato, in sovrapposizioni raffinate che si fanno cori. I contributors sono numerosi e autorevoli: registrato nello studio di Grohl, gli arrangiamenti del disco godono della collaborazione di Page Hamilton degli Helmet e di Joe Plummer dei Modest Mouse, solo per citarne un paio. Ciò nonostante, il prodotto finale è un lavoro dall’aspetto organico e personalissimo, un rock sofisticato umorale e schietto.
Un disco intimo e oscuro sì, ma capace di momenti propulsivi, come la ritmata Belle Epoque in apertura. Rattled è una scheggia di grunge che si schianta sul pop. Le ballad la fanno però da padrone: i riff sapienti di Hamilton accarezzano con le unghie la malinconia viscosa di Believe the Squalor, la lunatica Sink Sand tra abbondanti chitarre e la tromba che si fa spazio sotto un oscuro ritornello, il temperamento folk di Artificial Limbs, il prog pop cadenzato di Lift the Sheet che conclude trenta minuti di ascolto fluido.
Non è un disco che vive della luce riflessa dei nomi che gli gravitano intorno. Con la metamorfosi in Lieutenant, Mendel dimostra tutta la maturità e l’indipendenza necessarie a legittimare un posto in prima fila on stage. E, indubbiamente, talento. Che alla fine è quel che conta.

Tracce consigliate: Believe the Squalor, Sink Sand.