Broken Crown Halo è il settimo album in studio dei Lacuna Coil, uscito il 31 marzo per Century Media.

Per  chi non lo sapesse, si tratta di una band milanese dedita ad una forma ibrida di gothic metal, in grado di attingere, all’occorrenza, intesa nel senso economico del termine, sia dalle abitudini del nu metal  (soprattutto per quanto riguarda l’alternanza momenti melodici strappalacrime/cantato in scream e le incursioni elettroniche) che dalla lezione dei “maestri” Paradise Lost, i quali hanno fornito nel corso degli anni un notevole campionario di suggestioni decadenti/atmosferiche/liriche cui ispirarsi. C’è tutta un’interessante letteratura che narra di scontri epocali tra il seguito dei Lacuna Coil e i true molesti malvagi satanist antichrist metallari, il cui sport nazionale consiste a quanto pare nel lanciare verso la band oggetti contundenti non appena i Nostri fanno la loro apparizione sul palco di un Gods of Metal a caso. Sembra siano però tutti d’accordo nella definizione di “quelli con la cantante gnocca”.

Una vocina nella vostra testa vi starà già suggerendo che il target principale di questi progetti sono ragazzine depresse che pensano di vivere in mezzo ad una lotta tra vampiri e lupi mannari, ma per non ricevere minacce di morte da fan accaniti con nickname come Black Angel o Possessed Girl, concediamo pure il beneficio del dubbio.

Nothing Stands in Our Way si sviluppa a partire da un tappeto elettronico, le chitarrine si trovano al posto giusto nel momento giusto, mentre dal punto di vista vocale abbiamo il già collaudato stile “beauty and the beast”. Si tratta di un incipit che potrebbe riassumere l’intero album, una confezione assolutamente orecchiabile, con arrangiamenti ogni tanto neanche malvagi e sprazzi di sperimentazione apprezzabile con strumenti vintage e relative pedaliere(l’album è stato registrato infatti nelle Officine Musicali del già PFM Mauro Pagani) ma carente in termini di contenuto.
A togliere l’impressione di trovarsi in una dimensione sospesa tra  gli stereotipi del metalhead della domenica con le sue gestualità stereotipate e le paraculate alla sempre cara Music Television non bastano purtroppo le tematiche dei testi ispirate al prolifico cinema horror nostrano anni 70. Il problema è che i Lacuna Coil non sono i nuovi Goblin, loro sì, true orgoglio italiano non pienamente compreso in patria. Sì, perché un’altra caratteristica insopportabile di qualsiasi discussione intorno alla band è che puntualmente viene ripetuto questo mantra del “all’esterosonodelledivinitàmanoinonlipossiamoancoracapireperchél’unicacosachecientra
intestasonovascoeligabue
”. Attenti però che se lo leggete al contrario tre volte appare Dario Argento allo specchio.
In mezzo a tamarrate Slipknot-style come Die & Rise e a pezzi come Infection in cui hanno sicuramente dimenticato di scrivere “feat Linkin Park”, si salvano solo Hostage to the Light, Victims, dal sapore rispettivamente dark prog e atmospheric metal, e One Cold Day, forse l’esempio più genuino di cosa veramente intendano i Lacuna Coil per gothic metal.
Questo per dire che se la tua idea di partenza rappresenta di per sé una contraddizione in termini (pop/metal, alternative/gothic metal che sia) i risultati non possono che essere…

Tracce consigliate: One Cold Day