In una bellissima intervista di 2 anni fa è emersa una delle immagini più semplici e veritiere dei Khruangbin: l’incontro tra un batterista gospel/hiphop (Daniel Ray Johnson), un’affascinante appassionata d’arte divenuta successivamente bassista (Laura Lee) e un chitarrista esperto e innamorato della cosiddetta world music (Mark Speer), insieme nel convergere le proprie passioni e nella voglia di scoprire. Sin dall’esordio, The Universe Smiles Upon You, non è stato semplice racchiudere i 3 nuovi eroi di Houston in un genere unico: la prerogativa groovy sembra essere il tres d’union di un caleidoscopio di funk, thai funk, soul, psichedelia, jazz, fusion… e sì, sicuramente ci stiamo scordando di qualcosa.

Dopo l’exploit del precedente Con Todo El Mundo nel 2018 si è innescato un hype notevole rispetto al nuovo lavoro del trio, anche grazie a brevi e significative collaborazioni con artisti del calibro di Leon Bridges (nel caso lo foste perso, recuperatevi l’ep Texas Sun). Mordechai è il terzo lavoro ufficiale dei Khruangbin e si presenta con una splendida copertina super colorata, in linea con la loro natura poliedrica. Chi li conosce già a dovere ha in mente le aspettative ben precise rispetto a ciò che troverà: un’elegante equilibrio tra gli strumenti, atmosfere evocative ed elementi musicali provenienti da diverse parti del pianeta.

Registrato in una fattoria sperduta nel Texas, in Mordechai, la band amplia le proprie vedute accogliendo nel proprio approccio nuove influenze e un maggior uso della voce; non stiamo parlando assolutamente di uno stravolgimento del sound, quanto a una specie di evoluzione ben evidente sin dal primo pezzo First Class, l’ipnotico mantra iniziale scandito dalla voce di Laura. Per scoprire l’evoluzione del processo artistico Khruangbin si rivela utilissimo ed essenziale, in questo caso, la sezione di “Storyline” presente su Spotify compilata direttamente band: un’unione di parole e immagini ad ogni singola traccia in cui ne viene descritta la genesi e costruisce una narrativa generale rispetto ai temi trattati nell’album. Viaggi, ricordi e incontri che, in questo caso, vengono raccontati utilizzando la voce come elemento d’unione delle diverse storie.

Ed è proprio con gli incontri con nuove culture e persone che provengono dall’altra parte del mondo che i Khruangbin trovano nuove strade per le proprie idee compositive. Ne sono un buon esempio Shida, suite dai sapori orientali dedicata ad una donna iraniana conosciuta a Portland, e Connaissais de Face, ammaliante e onirica passeggiata sulle spiagge dell’Africa Settentrionale, passando anche dalle fascinazioni spagnoleggianti di Pelota, esperimento singolare a metà tra flamenco e rumba.

Inaspettatamente i momenti migliori dell’album si collocano proprio nei due singoli di lancio pop che utilizzano per la maggiore la componente vocale. Parliamo dei disco-funk speculari di Time (You & I) e So We Don’t Forget, in bilico tra spensieratezza e allegria, accompagnate entrambe da video emozionanti e provenienti da scenari tra il reale e l’immaginato, utili nel completare l’intera narrativa.

Mordechai risulta nel suo complesso un lavoro riuscito, ma sicuramente meno immediato. A tratti si avverte un leggero apporto maggiore nella produzione e nella ricerca del suono, che inevitabilmente va ad incidere sulla semplicità con cui i Khruangbin hanno conquistato milioni di fan nel mondo. Scrivere un successore degno di fronteggiare Con Todo El Mundo rimane un’impresa ancora da compiere. Ciò non toglie a Mordechai di essere un nuovo punto di esplorazione, assolata malinconia e viaggio appassionante allo stesso tempo, qualcosa che al giorno d’oggi poche band riescono a regalare in modo così naturale e genuino.

Tracce Consigliate: So We Don’t Forget, Shida