Vent’anni e non sentirli. Perchè la longevità del progetto Julie’s Haircut non ne compromette la qualità delle produzioni, e poi perchè la staticità creativa non è tra le caratteristiche della formazione emiliana e Invocation and Ritual Dance of My Demon Twins è l’apice di un percorso intrapreso a distanza di anni dall’esordio, quando alle melodie garage dei primordi subentrò l’audacia di un lavoro come After Dark, My Sweet  a sovvertirne l’approccio compositivo. Era il 2006 quando il cambio di rotta delineò la strada a venire, ma lo fece più nei modi che nella sostanza, perché se è vero che di psichedelia si tratta è vero anche che da allora la formazione di Luca Giovanardi esprime la propria affiliazione al genere nella maniera forse più coerente, ossia seguitando a scandagliare le caleidoscopiche possibilità del rock lisergico, evitando di restare imbrigliati in cifre stilistiche che precludano approdi inaspettati.

È ormai da qualche anno che Rocket Recordings dimostra una certa attenzione nei confronti di quella fucina periferica e alacre nota come Italian Occult Psychedelia, apprezzata forse più all’estero che in patria, contribuendovi nei fatti con l’esordio dei Lay Llamas e coinvolgendo i Mamuthones in uno split con gli inglesi Evil Blizzard (anche se recentemente di Rocket si parla soprattutto in quanto etichetta dei Goat). Sotto l’egida della label britannica, la materia sonora dei Julie’s Haircut che avevamo apprezzato nel loro ultimo Ashram Equinox sembra dipanarsi più fluida, meno cervellotica e più fruibile, scoprendo così che strutture più definite non ne pregiudicano il peso specifico e la riconoscibilità.

Introduce all’iniziazione il drumming motorik di Zukunft che procede claudicante tra i fruscii, mentre il sassofono di Laura Agnusdei sale a saturare lo sfasamento. È il sax l’ultimo elemento che si aggiunge al manipolo di musicisti, lascivo e indispensabile in ogni brano, una presenza che rimanda all’ultimo capitolo dei seminali Gustoforte ma che è potenza controllata, senza gli spasmi dell’approccio free-form dell’album di ritorno dei romani, come nella messianica Deluge di cui rende melliflui gli stridori. In The Fire Sermon compaiono le liriche, sussurri sinistri tra le chitarre abrasive e le ossessioni etniche delle percussioni. Le ispirazioni lounge di Orpheus Rising rimandano al lavoro di progetti come Heroin In Tahiti sugli archivi di library music nostrana. Gli spazi sonori bucolici di Cycles degenerano in pizzicate drogate e cori solenni. Salting Traces è space rock raffinato e spigoloso su cui gracchia una voce adulterata, mentre i tribalismi propulsivi ed elettrificati chiamano in causa i Can. Agli scenari di Gathering Light, seducenti e terrificanti insieme, segue il ritorno di uno dei membri fondatori, Laura Storchi, a snocciolare mantra sull’incedere disturbato della conclusiva Koan.

Oppiaceo ma mai sfatto, un ribollire vulcanico di delay che neutralizzano le melodie senza deragliare in rumorismi ostici, per altalene emotive post rock tenute insieme da strutture in crescendo, che giunte al vertice scaricano la tensione in poche mosse ma senza finire mai in stato di quiescenza. Il viaggio cosmico di Invocation and Ritual Dance of My Demon Twins è un’implosione, una macchia di Rorschach entro i cui confini netti si finisce inspiegabilmente per perdersi.

Tracce consigliate: Zukunft, Salting Traces, Cycles