Julian Lynch non è uno scaricatore di porto non è un golfista non è nemmeno un giocatore di basket professionista non è manco uno che in ascensore parla del tempo non è l’amico che ti da consigli non è Brad Pitt, non è un musicista.

Julian Lynch in arte Julian Lynch è probabilmente il sogno che fate prima di un intervento.
E se non farete mai un intervento, qualsiasi esso sia, Julian Lynch sarà uno di cui avrete sentito parlare.
Tra l’altro posso dire per certo che è anche un etnomusicologo e che sa suonare il sassofono o il clarinetto.

Lines è un disco che credo vada inserito nel cerchio della musica folk sperimentale; che è la musica sperimentale suonata con la chitarra acustica per intenderci, anche se ormai con “sperimentale” si intende, per la maggior parte dei casi, un genere musicale più che una vera propensione alla sperimentazione, ormai è un fatto assodato.
Infatti Julian Lynch non si smentisce e non ci fa sentire nulla che non sia già stato suonato negli ultimi 50 anni. Ma vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè vabbè.
Vi posso anche dire che Lines è un disco che si apprezza al secondo ascolto e che è necessario dedicarcisi completamente, la minima distrazione potrebbe farvi odiare Julian a vita.
Ma se proprio vi piace ascoltare la musica con l’I Pod in giro per la vostra città, che dicendo vostra non intendo proprio che vi appartiene,  è consentito ascoltarlo mentre siete in autobus in treno o sulla metro, sdraiati in un parco cittadino, a passeggio per le strade.
Sulla frase della vostra città che non vi appartiene ho cambiato idea, in realtà la nostra città ci appartiene sì.
Le cose belle di questo disco sono: quelle specie di organetti probabilmente gonfiati ad aria, le parole che non si capiscono, l’inizio del cd con dissonanze facili, le canzoni che cominciano e poi finiscono diversamente, le canzoni con lo stesso giro d’accordi per tutto il tempo e qualcos’altro.

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