Personalmente ho sempre stimato gli artisti che dopo una carriera fatta di successi e soddisfazioni in una band sentono il bisogno di esprimersi attraverso un progetto solista, vuoi per far risaltare il proprio talento rispetto al gruppo, vuoi perché l’espressione nel contesto “band” è sempre circoscritta e limitata al fine ultimo del prodotto o vuoi perché intraprendere un percorso del genere è una scelta molto coraggiosa.
In questo caso non si tratta di scelta vera e propria; gli Smiths hanno avuto divergenze che inesorabilmente hanno portato allo scioglimento e per continuare ciò che è andato logorandosi, i suoi componenti si sono immessi nel mercato soli soletti, a vario titolo.
Mentre il compare Moz continua a dare lezioni di cantautorato al mondo intero, il cofondatore degli Smiths e chitarrista che ha invogliato generazioni di adolescenti ad imbracciare una sei corde (me compreso), sta annaspando nel mare di riff distorti che l’industria propone.

Questo Playland non ha molto da dire, segue semplicemente il filone alternative-rock degli ultimi 15 anni.
Chiari riferimenti al passato già dall’inizio con Back in the Box, chitarre ritmiche stoppate che a fine strofa seguono la voce, inciso che lascia decisamente a desiderare e, esattamente quando te l’aspetti un solo di chitarra.
Easy Money preferirei quasi lasciarla stare perché è di un piattume cosmico, melodia vocale che si ripete fino allo sfinimento o fino allo skip di traccia che ci porta dritti dritti a Dynamo. Questa sembra essere una delle poche parentesi felici del disco, sarà che melodicamente ha qualcosa di sentito e risentito ma riproposto in chiave non eccessivamente rude. Candidate e 25 Hours sembrano quasi dei B-Side di Velociraptor! dei Kasabian e poi finalmente The Trap, nel quale riassaporiamo le chitarre di The Queen Is Dead ma stavolta meno sognanti e eccessivamente vincolate alla melodia principale.
Il disco fa davvero troppa fatica anche se non lo si dovesse ascoltare attentamente, Johnny FUCKING Marr dove cazzo sei?
Fumiamo una sigaretta e ci decidiamo a proseguire. La title track sventola un’attitudine punk e purtroppo queste sonorità non riusciamo ad accostarle a Marr, l’aspetto è più quello di una roba per centauri appena svezzati on the road.
Speak Out Reach Out, riff di chitarra preponderanti un pò alla AM; Boys Get Straight apprezzabile, attitudine rock più credibile e un passaggio melodico nell’inciso degno di nota. Iniziamo a riconoscere il tocco caratteristico di Marr solo a fine disco con This Tension e Little King ma ormai è inesorabilmente tardi.

Non ci crediamo che tu non sia capace di fare di più, convinti come siamo che buona parte delle pietre miliari degli Smiths abbiano avuto eco grazie alle tue manine fatate e al tuo genio.
Però non puoi deluderci così, hai fatto una pacchianata bella e buona: forse ti sei ricordato troppo tardi (2013) che la musica aveva bisogno del suo Johnny Fucking Marr, così tardi da dimenticare come si fanno i capolavori?

Traccia consigliata: Boys Get Straight.