Anche se credete di non aver mai ascoltato Jim O’Rourke, avete già ascoltato Jim O’Rourke. È stato il quinto dei Sonic Youth dal 1999 al 2005 (c’ha registrato Murray Street, per dire), ed è stato ingegnere del suono per gli Smog e i Wilco, mixando Yankee Hotel Foxtrot e producendo e mixando A Ghost Is Born, ha fatto parte dei Brise-Glace e dei Gastr del Sol e suonato nella colonna sonora di Grizzly Man di Herzog. Se anche a questo punto non l’avete davvero mai sentito neanche per sbaglio non so davvero come aiutarvi, ma posso spingervi ad ascoltare questo suo nuovo Simple Songs.

Simple Songs è il primo lavoro di Jim O’Rourke sulla Drag City dal 2009, quando uscì lo strumentale (e bellissimo) The Visitor, ed è il suo primo disco cantato per l’etichetta dal 2001. O’Rourke sembra costruire un piccolo omaggio a se stesso e alla sua produzione sull’etichetta che pubblica anche Pavement e Ty Segall; non è tanto un’opera pensata per un neofita di O’Rourke quanto per un amante della sua produzione, e anche per questo è complicato trovare dei dischi simili a Simple Songs, perché tutto suona incredibilmente O’Rourke – un piccolo paradosso, visto che i dischi di O’Rourke sono tutti diversi. Allo stesso tempo è un buon punto di partenza in quanto sintesi in perfetto equilibrio, e vi si possono sentire tutti quei gustosi tic e quella piccola ironia tipica nella composizione e nei testi.

Il disco infatti si apre con Friends With Benefits, che dice «Nice to see you once again / Been a long time, my friends / Since you crossed my mind at all». La voce è un po’ diversa, sembra lievemente più adulta, un po’ più roca, ma è sempre delicata, gentile, e anche noi siamo contenti di sentirti di nuovo Jim. Se i segni maggiori che si notano son quelli dell’ultimo The Visitor – i tocchi di pianoforte e la presenza orchestrale, ma anche le scelte cromatiche della copertina con rosso verde e nero –, è impossibile non pensare ad alcuni riff di Insignificance, o ad alcune parti strumentali di Eureka, o allo straniamento raffinato dell’EP Halfway to a Threeway. La stranianza sta in particolare in quel pezzo splendido che è These Hands, in cui O’Rourke guarda con circospezione alle proprie mani («Our hands are not our friends / They’re leading lives of their own»), riflettendo ironicamente sulla creazione artistica.

In qualche modo la seconda parte del disco, aperta in movimento dalla bella coppia di Hotel Blue e These Hands, sembra più riuscita, ma forse è solo una questione di acclimatarsi all’ambiente e al suono di O’Rourke, affinare l’orecchio e sentire tutti i colpetti da mestierante esperto che ci dà. Come ad esempio la chiusa tutta emotiva di End of the Road con un tripudio di violini mentre il nostro canta «Just one time before you go / Is that too much to ask?» che starebbe bene in un film da Sundance (che guarderei, sia chiaro); o la finale, splendida All Your Love che finisce con una lenta cavalcata simile alla Carousel dei Motorpsycho – e questo è un pregio – e il quale testo colpisce al busto mentre ti stai coprendo la testa: «All your love / Will never change me».

Forse non è un disco per tutti, e nemmeno il disco più riuscito di O’Rourke, ma la colpa è sua: il livello compositivo è sempre alto e la consapevolezza pure, ed è difficile fare meglio quando hai sempre fatto bene. Soprattutto in quest’ultima fatica si nota uno dei superpoteri di O’Rourke, che è il mixing: niente è fuori posto, oltre al piano e alle chitarre ci sono violini, fiati, chitarre steel pad e niente risulta eccessivo, amalgamato perfettamente invece in un disco a cavallo fra indie, avanguardia e pop da camera. Se avete 40 minuti di tempo e la voglia di ascoltare qualcosa di originale – le «songs» son tutto fuorché «simple» o banali – che può cambiare alcune vostre prospettive musicali con la scoperta di O’Rourke e del suo effettivo genio, questo Simple Songs può aiutarvi.

Tracce consigliate: These Hands, All Your Love