Dimentica l’approccio da vecchio voyeur. Supera lo scompenso adolescenziale, il disagio del tredicenne che, con fare da viveur, mentre sorseggia il suo peschito, strizza l’occhio alle ragazzine. C’è chi, infatti, davvero ci sa fare – intendo con le donne – e può prendersi la libertà e il lusso di intitolare un album Love Apparatus. Bisognerebbe prendere appunti, dunque. Un farfallone costui, insomma; un tombeur de femmes che ha coinvolto e intervistato, con l’intenzione di farne un documentario, centinaia di donne tra cui una decina di artiste: dalle cantautrici Marsha Ambrosius e Kilo Kish alla scrittrice e poetessa Aja Monet. Tali rilassate conversazioni, che marcano il ponderato e zuccheroso fare del gentil sesso, sono quindi motivate dal donnaiolo, come e soprattutto il progetto Love Apparatus nella sua totalità, mediante una breve postilla che fornisce le dovute ragioni: “Creation is the vessel that molds life, without a woman art would not be so courageous. I find peace in openness, so I am grateful for the expression of self and I am aware of the power in vulnerability and the connection it brings about. Love Apparatus is for the heart and everything thats inspired by it, our universe”.

Jesse Boykins III porta con sé un ingombrante bagaglio R&B idillico e poetico, non facendo altro che, frequentando gente giusta, continuare ad arricchire tale background. Dopo alcune releases decide di rinunciare alla produzione del suo secondo album da solista, Love Apparatus appunto, rimettendola nelle mani del fidato produttore americano Machinedrum, il quale mangerà anche i würstel crudi, avrà sicuramente i baffi puzzolenti e dunque senza grazia, la sua presenza, potrà risultare inversa rispetto allo spessore nobile e romantico del lavoro. Ma non di certo è il primo stupido e, infatti, il suo bernoccolo pronunciato per l’IDM rende il soul professato da Jesse coinvolgente e inebriante.

Hai solo la vaga e indiretta percezione di cosa stia per accadere, ma la viva sensazione suscitata dalla trepidazione in GreyScale è sintomo di un primo intendimento. Il leggero loop di basso, impeccabilmente coniugato con piano e arco soffocato, che si schiude nel rumore bianco del synth, smussa e addolcisce gli eccessi: alcun passo falso è concesso, ma “the force is calling, the field is strong, the nature comes to say”. Distesi e decontratti i muscoli, nel passo cadenzato di B4 The Night Is Thru, ora parli apertamente e, senza reticenze, ti lasci andare. Il Neo soul, assieme a un falsetto che ricorda quello aggraziato e armonioso di John Legend – ancora più esplicito in Show Me Who You Are, il cui falsetto è lavorato dal clap in un’aura elastica, provocante e carnale -, anima la scrittura dell’album. Domandi: “Balance or climax?” e lei ti risponde: “always balance… through balance you can have climax.” Un attimo dopo essere stato introdotto Live In Me, descritto da lievi componenti dubstep e da un’ipnotica voce, l’apice è accompagnato da uno stato di incoscienza intensamente piacevole. Purtroppo la malattia del doloroso bramare e del desiderio nostalgico di riprendersi ciò che è sfiorito, inevitabilmente, avanza in I Wish dietro il tratto di un corpo acustico amareggiato e afflitto. Il carillon di Plain gira e le lamelle vibrano dando vita ad una nuova alba di un sapore semplice, sì da farti muovere lungo un pattern di percussioni gagliardo e ritmico.

Come anche è ritmata l’energia intelligente, la vita cosmica che si muove secondo principi ordinati e che alludono proprio ad un’anima mundi, ad un centro autonomo e generatore, che governa la respirazione del mondo. Love Apparatus è, dunque, la libertà assoluta, il fine ultimo che libera dalle catene dell’oceano dell’esistenza. Piegato il saṃsāra, l’equilibrato progetto è somma logica di spiritualismo, romanticismo e sensualità.

Tracce Consigliate: Plain, Live In Me.