Jeff Rosenstock è un bravo ragazzo. Dico davvero. Cioè, questo è ciò che risponderei se mi venisse chiesto “Cosa ne pensi di Jeff Rosenstock?”. E forse il suo nuovo album, We Cool?, ne è la più evidente e chiara dimostrazione. Mi spiego: questo qui, con quel bel faccione simpatico e amichevole, arriva e riesce a trattare tematiche così introspettive e allo stesso tempo comuni, avvalendosi di un sound così semplice, diretto e poco elaborato. Voglio dire, non può non essere un bravo ragazzo.

E me ne sono accorto ascoltando la sua Beers Again Alone, quinta traccia presente nella tracklist di We Cool?, seguito del suo debut da solista I Look Like Shit e uscito una manciata di giorni fa per la SideOneDummy, etichetta di L.A. – tra l’altro città in cui Jeff vive attualmente. Ironia della sorte, mi ritrovo a scrivere di questo disco proprio mentre bevo una Poretti 3 luppoli in totale solitudine. Non che sia una cosa brutta, eh. Anzi, con un brano così non si può non gustare ancor di più una tale prelibatezza.

Ma andiamo con ordine: Jeff apre il disco con Get Old Forever, un brano che per come comincia potrebbe far pensare a una violenta sterzata nelle sonorità scelte da Jeff: non preoccupatevi, dura solo un minuto. L’ improvvisa esplosione pop punk di questo brano, sarà poi il filo conduttore di ogni singola traccia presente nel disco, arricchito da numerose venature difficili anche da descrivere: si passa da un power/guitar pop, a un più semplice punk anni ’90 con reminescenze Weezer, Counting Crows o, perché no, dei primi Green Day, senza disdegnare particolari esperimenti musicali più soft, con l’aggiunta di strumenti inusuali o voci di supporto, che però non sfigurano in alcun modo. Neanche il tempo di ascoltare la prima traccia che subito parte la prima bomba del disco: You, In Weird Cities, un brano carico, prepotente e arrabbiato, che non può non farci volere del bene a un Jeff che a quanto pare ce l’ha un po’ con il mondo (I’m always getting high / When no one is around / ‘Cause nothing makes me feel / Anything’s worthwhile / Nothing makes me happy / I’m like a bratty child / Nothing makes me laugh / Nothing makes me smile). Un brano che, al pari di Nausea, è lo specchio dei suoi sentimenti. Proprio questo brano, Nausea, è forse la punta di diamante dell’intero disco, tra chitarre, trombe e soprattutto pianoforte, c’è un testo che vi sfido a leggere senza rivedere voi stessi, almeno in un particolare frangente delle vostre vite (I got so tired of discussing my future / I started avoiding the people I love / Evenings of silence and mornings of nausea / Sweatin’ and shakin’, dont throw up). Appena prima troviamo Novelty Sweater, che assieme a I’m Serious, I’m Sorry, è la traccia più punk dell’intero disco.
Ed è questa la vera forza di Jeff: saper sorprendere l’ascoltatore, mescolando un genere all’altro, creando una grossa palla di das multicolor, che non può in alcun modo annoiare chi se la ritrovi tra le mani. Oltre al suo faccione, anche la sua voce pare essere profondamente amichevole: stonata e sforzata – almeno nei live – spinta al massimo verso note che sa di non poter raggiungere, ma che vuole per forza raggiungere. Chi cazzo ha detto che per fare un bel disco bisogna per forza saper cantare bene?

Non è un caso che subito dopo, proseguendo sulla stessa scia, parta Beers Again Alone, una ballata malinconica e sentita, carica di energia, tre minuti e poco più, vigorosi, altamente godibili e semplici. Hey Allison!, uscita sul tramonto del 2014, Polar Bear of Africa e Hall Of Fame, brani posizionati a metà disco, sono forse i brani più ”noiosi” – e meno male, aggiungerei, altrimenti quanto cazzo avrei dovuto dare a ‘sto Jeff?. Brani ok, per carità, ma che non lasciano nulla di indelebile. Al contrario dei successivi: Darkness Records parte molto leggera, per finire in tutt’altro modo: solo chitarra e voce per circa un minuto prima che intervengano percussioni e basso per dare struttura al brano, con sonorità non lontane dal country e da un noise molto grezzo. Una roba strana a leggersi, me ne rendo conto. All Blissed Out, non me ne voglia nessuno, è un brano pressoché inutile, una sorta di prologo all’epilogo, rappresentato da The Lows. Un trionfale e ben riuscito saluto agli ascoltatori, con lo stesso ponderato e genuino pop punk che ha contraddistinto tutto l’album.

Per farla breve, questo è un disco composto per lo più da tracce semplici e ascoltabilissime, per nulla pretenziose, quattro o cinque brani davvero fighi, adatti a qualsiasi situazione o stato d’animo. Dodici brani per poco più di 30 minuti di ascolto che scivolano via in un attimo. E poi dai, Jeff è davvero un bravo ragazzo. Scommetto che prendeva bei voti anche a scuola.

Tracce Consigliate: Nausea, Beers Again Alone.