Nemmeno il tempo di smaltire l’hype e l’ascolto di Yeezus dell’amico Kanye West che Jay-Z sorprende tutti annunciando l’uscita del suo dodicesimo album in studio: Magna Charta Holy Grail. La pre-release limitata affidata a Samsung ha però fatto storcere il naso allo zoccolo duro dell’hiphop che, a buon ragione, male vedeva conciliarsi un colosso di telefonia con il re di New York; purtroppo però questa mossa non si è rivelata essere puro e semplice marketing che si sarebbe esaurito allo scadere dei download, bensì lo specchio di un lavoro che tradisce le aspettative di coloro i quali vi riponevano molte speranze.

Già con l’opener Holy Grail – singolo che anticipò l’album – si ha il sentore di un Jay-Z fuori forma, titubante, dalle liriche incerte e mai incisive (“I got haters in the paper, photoshoots and paparazzi, can’t even take my daughter for a walk” Jay, dai, ti prego) salvato in corner da un Justin Timberlake in stato di grazia in questo 2013. Merita una parentesi a parte invece la reinterpretazione di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana qui contenuta, autotunnata e totalmente fuori luogo: è questa la quintessenza di un Jay-Z ormai stufo di fare l’American Gangster, un Jay-Z che si vuole presentare come un padre di famiglia maturo, ostentando una cultura che non gli appartiene e finendo per essere schiacciato dall’ansia da prestazione e dal suo stesso personaggio, scadendo in citazioni banali e dal retrogusto kitsch. Ecco così che si susseguono Picasso, Basquiat, Tom Ford e storie poco credibili sulla nuova vita di un Hova redento dalla paternità.
Le strumentali e la produzione sono ovviamente enormi e altrimenti non poteva essere con, tra gli altri, Timbaland e Pharrell in cabina di regia. I beat di Picasso Baby e F.U.T.W. sembrano essere usciti direttamente dai primi lavori di Jay, quelli di Tom Ford e FuckWithMeYouKnowIGotIt (feat. Rick Ross) si contestualizzano benissimo in questi anni 10 e paiono seguire la scia electro lasciata da Kanye West. Il resto è un mix di simil-trap (Crown, Beach Is Better e BBC), mainstream con incursioni di Frank Ocean (Oceans) e della moglie Beyoncé (Part II) e tante, troppe canzoni insipide.
Tra (pochi) alti e (molti) bassi il re di NY dà l’impressione di essere solo l’ombra di se stesso, un claudicante sovrano che sente il peso della corona sulla testa, consapevole dell’ormai imminente abdicazione, ma che ancora prova a sparare le ultime cartucce.

Magna Charta Holy Grail ragiona in ottica mainstream, sperando cioè in più passaggi radiofonici possibili e in una campagna di marketing massiccia, e se voleva essere la risposta a Yeezus beh, da questo viene schiacciato senza difficoltà alcuna.
Un vero peccato vedere una colonna portante del calibro di Jay-Z finire risucchiato nel vortice di quel business di cui da sempre, ironia della sorte, è padrone. E inutili sono anche le paraculate dell’ultimo minuto, come attaccare i siti di recensioni che, a dire di Mr. Carter, pubblicherebbero reviews senza ascoltare attentamente i dischi. Eh no vecchio mio, le stroncature generali che ti son piovute addosso sono più che meritate, perché da uno che ha scritto The Blueprint e il Black Album ci si aspettava molto, molto di più.
“If you don’t like my lyrics you can press fast forward” dicevi in 99 Problems, mai a quei tempi ci saremmo aspettati di doverlo fare, eppure oggi sembra essere arrivato quel momento.

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