Jack mi ha sempre inquietato sapete? Ma nel senso buono.
Ma che cazzo sta dicendo ‘sto qui, vi starete chiedendo?
Vi spiego: prima cosa il suo sguardo, palesemente da deviato con occhiaie perenni, ma quel tipo di deviato che si mette li sul divano a strimpellare con la chitarra e tira fuori quei pezzi li insomma. E poi si mette a fare robe strane come questa in mezzo ad una cascina (sempre con espressioni poco rassicuranti), e gira i suoi tour con due gruppi divisi per sesso che decide di utilizzare in base al suo sfizio. Inoltre, sappiamo tutti nel nostro cuoricino che se la faceva con la sua finta sorella Meg. E in realtà lo amo per tutto ciò.
Ma andiamo avanti.

Non mettiamoci neanche a discutere sul curriculum d’oro di quest’uomo, andiamo al sodo: Jack White ritorna dopo due anni dal suo esordio solista del 2012 Blunderbuss, bello quanto ancora grezzo, che ci impressionò per l’incredibile concentrato originale delle sue passioni musicali: Rock, Soul, R’n’B, un pizzico di Country e tanto tanto tanto Blues, visti nella sua maniera unica, chiaramente.
Aspettative alle stelle manco a dirlo, e quindi: Lazaretto è capace di soddisfarci per bene?

Ad ascoltare il primo pezzo, ti esce il sorrisone. Via con l’organetto e parte Three Women, un bluesettone in chiave funk/soul che non ti lascia scampo, troppo catchy, la degna presentazione del rinnovato reparto sonoro: slide guitar, violini che intrecciano assoli, tastiere presentissime, sì sì ci siamo. Certo, non dimentichiamo le chitarre, perché sapete che il buon Jack ne sa veramente una più del Diavolo, anzi voglio proprio aprire una piccola parentesi chiamata:

JACK E L’IMPORTANZA DEL SOUND.
Jack, la sua chitarra, legame viscerale e inscindibile, fanno metà del lavoro insieme. Ed userò come esempio High Ball Stepper, prima traccia uscita qualche settimana fa in anteprima: è uno strumentale, un’ottimo strumentale tanto per intenderci, ma indovinate quando decolla? Sì, proprio quando la sua Gretsch riprende il riff portante con il suo oramai celebre suono superfuzzoso, e sembra che il tutto prenda fuoco.
Se c’è una cosa che adoro di Jack è la sua cura maniacale per ogni singolo strumento, il suo riuscire a creare un marchio di fabbrica fresco mixando sonorità del passato e girando sempre su quella maledetta pentatonica, che tutte le volte che mi ci metto io in sala prove mi sembra di suonare la copia della copia della copia di un pezzo di Hendrix.
“Si ma oh, fa sempre la solita roba, gira sempre lì eh!”. Sì, e intanto ci frega sempre.

Tornando a parlare del disco, non possiamo fare a meno di notare come la seconda metà dell’album sia molto più influenzata da elementi folk e country, che riportano ad un certo Neil Young. Una scelta che ripaga bene, considerando pezzi intensi come Entitlement: chitarre acustiche e piano che la fanno da padrone, arpe e ancora violini e slide, una sensazione di peacefulness impagabile.
In più lo troviamo ancora abile a costruire degli anthem validi: quella Just One Drink, un po’ rubata dai Velvet Underground, che cita forse uno dei momenti più belli per la sua carriera (cantarla con loro di fianco, roba da svenire) e The Black Bat Licorice, ovvero “la naturalezza di scrivere riff che ti entrano in testa”, con quella batteria raggastyle irresistibile.

Lo so, ce ne sarebbe tanto ancora, e non voglio diventare prolisso, ma ogni canzone è così piena di elementi a se stanti che non si riesce a tralasciare niente.
Lascio a voi il piacere, e chiudo il discorso con il primo singolone, la title track: ebbene sì, Jack White butta su una specie di flow in stile Beck, e dopo il suo classico assolone acido e sporco entrano in sala registrazione i Rage Against The Machine, 40 secondi di jam ed escono al volo, sai c’è l’assolo di violino, eh. Il problema è che tutta questa roba sconclusionata che vi ho appena spiegato funziona dannatamente bene.

Lazaretto è un’opera ben riuscita, un più che degno seguito per Blunderbuss, 11 canzoni di grande qualità e di una varietà da fare invidia, accompagnata da edizioni speciali in vinile con demo, takes differenti e inediti. Roba per cui gli appassionati stravedono, e anche tu, lo sappiamo.
Ma ti chiedo solo una cosa, mio caro Jack da Detroit: quand’è che lo fai il capolavoro? Secondo me, sei sempre a tanto così da arrivarci, veramente.
E di meriti ne hai: fai felici sia noi nostalgici delle vecchie glorie rock, sia gli ascoltatori con un orecchio più orientato sul moderno, con le formule assurde che solo tu sai, e fai cantare la gente allo stadio. Però quella mi ha terribilmente rotto i coglioni, poco da fare.

Tracce Consigliate: Lazaretto, High Ball Stepper