Holly Herndon è una giovane rossina dagli occhi di ghiaccio, arrivata alla prima pubblicazione con l’album Movement. Un lavoro che ha tutta l’aria di essere un debutto pesante, o meglio un mezzo per introdurre una musicista tecnicamente completa e un’artista che potrà esercitare una forte rilevanza sulla musica contemporanea. Originaria del Tennessee ma residente a San Francisco, Holly è attiva in ogni campo: candidata ad un dottorato in musica elettronica a Standford, alle prese con la stesura di un libro sulle performance elettroniche per la Van Dieren e già insegnante presso la Pacific University, oltre alle molte collaborazioni, nel tempo liberà organizza eventi ed esibizioni al Children’s Creativity Museum di San Francisco. Insomma, Musicista sotto tutti gli aspetti.

L’album che ci offre è un susseguirsi di idee, all’insegna di effetti vocali, synth a modulazione di frequenza e di ore ed ore di studio passate su un laptop, appannate solo da un’impronta fin troppo accademica. Movement è comunque carico di sentimenti che ricordano da vicino le prime atmosfere di Julia Holter (ora anch’essa sotto RVGN INTL.), quelle di Tragedy, ma con un’indole più sintetica e fredda. Il lavoro di Holly apre con “Terminal”, traccia che approccia in modo più pacato e femminile il noise minimale dei Pan Sonic (dei quali la ragazza è dichiaratamente fan), dove sintesi e distorsioni svaniscono nel nulla in un suono essenziale ed estetico di infinita raffinatezza. Con “Fade”, secondo singolo estratto, ci accorgiamo che ogni traccia fa sostanzialmente storia a parte rendendo riduttiva una visione e un’analisi d’insieme. Qui una base techno incalzante fa da sottofondo ad un canto di sirena ammaliante, sapientemente modulato e sovrapposto, assuefacente come una droga. “Breathe” è una delle tracce più angoscianti dagli esordi di Diamanda Galas, una lenta morte per asfissia fatta di pause e respiri affannosi, che portano ad una sensazione di claustrofobia totale, sfociando in un vero e proprio trapasso sonoro per annegamento. Si arriva così alla disumana glitch microsopica à la Oval di “Control And”, nella quale prende vita un microcosmo di insetti, richiami e battiti di ali, sui motivi di una natura cinica e desolata. La title track “Movement” si fonda su un loop ellittico, al quale vengono sovrapposti autentici strati di fibra sintetica e campioni vocali, dando l’illusione in alcuni attimi di avere a che fare con un canto etnico. “Interlude” è un breve ma intenso esprimento, dove il vocalizzo isterico di Holly si fa tagliente come una lama, disturbato da detriti sonori “sparati” nella registrazione. La chiusura arriva con “Dilato”, primo singolo estratto e traccia vocale che tocca i confini delle perfomance art di Meredith Monk, in cui la voce (appunto) “dilatata”, prende forma e coscienza in un vero e proprio recital da operetta, fino a definirsi in un avvicendarsi di “ohm” spirituali.

Movement, non è un disco semplice, ha bisogno di tempo e di svariati ascolti anche per l’orecchio più allenato se vuole essere compreso a fondo. Il difetto, se vogliamo definirlo così, è quello di tenere eccessivamente separate le influenze, creando una discontinuità concettuale, riducendosi ad idee isolate. Se la Herndon, con i prossimi lavori, riuscisse a omogeneizzare quest’eccelso spezzato di richiami, il risultato sarebbe straripante.

Continua così Holly.