Specchiata nel Reno, Düsseldorf, ascolta il silenzio fragoroso della luce biancastra irradiata dal primo mattino. L’ammucchiarsi della haute société lungo Königsallee, uno dei viali d’Europa che più è espressione del costume del bel mondo, spezza e mette a tacere il realismo esistenziale dipingente la quotidianità, il dramma privato e le emozioni dell’uomo della metropoli.
Il clima dell’intensa e movimentata vita urbana allontana Volker Bertelmann; la deturpazione e il saccheggiamento culturale che primeggiano nell’aura cittadina non si conciliano con il classicismo viennese respirato da Volker, meglio noto come Hauschka. Questo, dunque, prende in custodia l’immaginario collettivo muovendolo verso paesaggi desolati di una bellezza dimenticata, lasciando percepire i suoni e gli odori aspri di nature distanti e conoscibili soprattutto grazie alla ricchezza e alla accuratezza della sperimentazione musicale che brilla nell’album Abandoned City.

“People once lived there, but they left in a rush and now nature has taken over in a beautiful way, things are growing up from the sidewalk and the seasons are changing colors”, dice Hauschka subito aggiungendo: “I was interested in finding a metaphor for the inner tension I feel when I’m composing music, a state of mind where I’m lonely and happy at the same time”.

Ed ecco che la tensione interiore trova immediatamente voce nel peso specifico di ogni nota suonata nei nove brani, ognuno dei quali porta il nome di una città realmente disabitata e negletta, di Abandoned City.
Elizabeth Bay, – il brano che apre allo sforzo intellettuale e al moto emotivo dell’artista – di una bellezza inquietante, è archetipo della sperimentazione musicale che si realizza nel pianoforte preparato. L’attrazione provata, già nel periodo adolescenziale, per la musica elettronica non ha determinato un approccio univoco; affacciatosi al genere ha rimosso gli eccessi e cercato di riprodurre suoni in digitale applicando oggetti estranei al corpo del pianoforte. Pripyat è uno spasmo di effetti che acuisce la drammaticità del contrasto tra etereo e materiale; brano mediano tra composizione classica e minimale. L’apice del compromesso è, tuttavia, raggiunto in Agdam; la scrittura del brano figura chiaramente l’obiettivo primo al quale Hauschka aspira in Abandoned City: rappresentare simbolicamente e sensibilmente processi mentali che, nel brano in questione, spostano verso luoghi impenetrabili e inaccessibili dell’Asia transcaucasica.
La liricità del progetto, finalmente raggiunta, è nel momento distensivo quasi glo-fi elargito da Sanzhi Pod City che, assieme a Craco, ribadisce l’eterogeneità artistica confluente, in ogni caso, nei virtuosismi della musica allo stato solido.

L’identità frammentata di Abandoned City può provocare o meno un fascino per lo stesso. Il disordine estetico dissemina spunti immaginativi senza un ordine apparente e, proprio a motivo di ciò, molto spesso rischia di disorientare. La chiave è riconoscere l’elegante abilità, mostrata da Hauschka, dell’essere coerente nell’incoerenza; come quel pianoforte che suona come un ensemble piano-percussioni.

Taccia consigliata: Sanzhi Pod City.