[I was] pretty infested with self pity and anger. Just starting to process a relationship that had ended a couple years prior. Being alone and near the water started drawing some of it out. Emotions built up over years emerged. I felt incapable of being in a relationship, of finding love. Bad at taking care of people, no one taking care of me. Governments not taking care of their own people, world economy taking a nose-dive cause of shortcuts and greed.” Così parla di se stessa e delle emozioni dietro le quinte del nuovo album Liz Harris aka Grouper.

Non è facile per questo terzo album arrivare a  vedere la luce del sole; e forse sto anche sbagliando ad usare questa figura retorica perché nel personalissimo mondo (musicale e non) di Grouper non filtra troppa luce.
Intanto la localizzazione geografica conta, e non poco: la registrazione di Ruins risale perfino al 2011. Composizione e registrazione non prendono piede in una città nè in uno studio di registrazione propriamente detto ma in un paesino sconosciuto, Aljezur in Portogallo. L’agglomerato principale del villaggio conta meno di 3000 abitanti, tutte e quattro le parrocchie non arrivano ai 6000: per sua stessa ammissione i contatti umani non sono stati troppo frequenti, le lunghe passeggiate solitarie, la musica e le attività quotidiane di sicuro non hanno aiutato a far emergere un lato positivo già poco marcato (“Mostly I wrote songs through the day, taking breaks to get outside; to go running or hike to the beach; to take photos and field recordings. […] in the evenings and drank port and listened to the three CDs that Sergio’s aunt had left there — Carlos Paredes, Nina Simone live, Leonard Cohen.“). E in tutto questo non si dimentichi la penosa situazione economica portoghese che altrettanto sembra aver segnato i solchi di Ruins.

Ruins quindi, rovine. Rovine interiori ed esterne al sé ma pur sempre rovine. E coerentemente anche la strumentazione è ridotta all’osso: un semplice pianoforte, una registrazione tutto tranne che impeccabile, la costante sensazione di un prodotto fatto in casa che fatto in casa lo è veramente, field recording d’atmosfera in apertura ma non solo, basta tendere l’orecchio per sentire ora il gracidare delle rane, poi il frinire notturno dei grilli in sottofondo e ancora il ruzzolare dell’acqua sul vetro come se la loro presenza fosse assolutamente normale in un cd musicale. E in effetti in questo caso lo è.
Mi rendo conto di come ci sia davvero poco di cui parlare analizzando tecnicamente Ruins: il minimalismo infuso, la voce che canta sospirando, le note scarne provenienti dai tasti d’avorio costruiscono ancora una volta di più le atmosfere decadenti e fragili tipiche dell’artista, in un contesto sì amaro ma non privo di dolcezza. Scivolare da Clearing a Call Across Rooms è semplice, quasi non ci si accorge della tracklist che avanza leggera. Nelle strumentali Labyrinth e Holofernes non c’è alcuna pretesa di virtuosismo: le melodie pianistiche, non solo in questi due casi ma in tutto l’album, sarebbero talmente essenziali e pigre nel loro fluire da risultare imbarazzanti, senonchè assolvono stupendamente il loro compito di raccordo e accompagnamento. Talvolta si prova addirittura la sensazione di poter ascoltare solo la voce di Liz, triste ma non inquieta, anzi cullante, senza alcun tipo di accompagnamento se non le imprecisioni della registrazione stessa, effettuata con un modesto quattro tracce.
L’ultimo brano, unico perché diverso dagli altri e registrato in un luogo e tempo diversi, è una sorta di lunga digressione ambient-drone non rumorosa ma a tratti disturbante nel suo essere eterea. Made of Air da sola occupa un quarto della lunghezza totale dell’ascolto e nelle parole stesse della sua compositrice vuole essere una porta aperta per l’ascoltatore, qualcosa con il quale chi recepisce possa identificarsi a seconda del proprio vissuto.

Ruins è un album speciale, nato in condizioni speciali e marchiato con un mood speciale: in una versione LP limitata a 500 copie contenente la registrazione di un temporale: sarebbe stato veramente curioso combinare l’ascolto di uno e l’altro insieme ma temo che nessuno di noi possa goderne. Però per fortuna siamo solo a novembre e a il mio consiglio è di immergersi in questa grigia nostalgia affinché il tempo atmosferico fuori dalla finestra, ancora non completamente invernale, ancora non troppo rigido, lo renda un’esperienza totale. Se possibile proprio in una giornata di pioggia, proprio come in copertina.

Tracce consigliate: Clearing, Lighthouse, Holding.